ISRAELE – L’ex ostaggio: «La diplomazia salvi i miei fratelli da Hamas»

«Usare ogni strumento possibile» per ottenere la liberazione degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza. È l’appello lanciato da Tal Shoham, ex ostaggio di Hamas, intervenuto alla sede delle Nazioni Unite a Vienna insieme alle famiglie di Guy Gilboa-Dalal ed Evyatar David, i due compagni di prigionia che sono ancora nelle mani dei terroristi. Davanti a decine di diplomatici, Shoham ha chiesto di usare la diplomazia internazionale per riportarli a casa. «Quaranta giorni fa sono nato per la seconda volta», ha raccontato l’ex ostaggio, parlando della sua liberazione dopo 505 giorni di prigionia. «Credo che ognuno di voi abbia il potere di accelerare il ritorno dei miei fratelli ancora prigionieri. Come individui, forse non l’avete, ma come comunità, come rappresentanti delle Nazioni Unite, potete giocare un ruolo importante». Shoham ha raccontato come due suoi compagni di prigionia siano stati costretti a guardare il suo rilascio: «Un gesto di sadismo deliberato» dei terroristi. Per Shoham, Hamas ha una identità chiara, è un’organizzazione fondata su «omicidi, stupri e incendi», senza rispetto per la vita umana, né israeliana né palestinese.
Il destino degli ostaggi sarà al centro anche dell’imminente incontro tra Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti. Secondo Haaretz, il primo ministro israeliano, fino a domenica in Ungheria per una visita di stato, ha ricevuto un invito a recarsi alla Casa Bianca subito dopo Pesach (fine aprile). Sul tavolo, oltre ai negoziati per la liberazione degli ostaggi, ci saranno il futuro della Striscia di Gaza e degli equilibri dell’intera regione.
Sul terreno, a Gaza, le Idf proseguono le operazioni militari, con l’obiettivo di ampliare la zona cuscinetto ed eliminare infrastrutture militari di Hamas. Le ultime missioni hanno avuto al centro Shijaiyah e Tuffah. Secondo l’esercito, sono stati uccisi terroristi e distrutti centri di comando. Operazioni contro il gruppo terroristico palestinese sono state condotte anche in Libano e in Siria. Quest’ultima è al centro delle nuove tensioni tra Gerusalemme e Ankara. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha condannato gli attacchi aerei israeliani contro alcune basi in Siria. Fidan ha parlato di un rischio concreto per la stabilità regionale, ma ha anche chiarito che la Turchia, sostenitrice del nuovo governo a Damasco, non intende arrivare a uno scontro diretto con Israele.