OSTAGGI – Nimrod Cohen e il cubo di Rubik salvato

Nimrod Cohen, 20 anni, è cresciuto a Rehovot, una tranquilla città a sud di Tel Aviv. A casa, era il più silenzioso dei fratelli: timido, riflessivo, appassionato di videogiochi e puzzle. «Era un ragazzo introverso, sempre pronto a dare una mano, mai al centro dell’attenzione», ha raccontato il fratello maggiore Yotam. «Ma oggi, dopo tutto questo tempo in prigionia, mi chiedo chi sia diventato. Ho paura di non riconoscere il Nimrod che tornerà, se tornerà. Di non sapere più chi sia il fratello con cui ho condiviso 20 anni di vita».
Nimrod è stato rapito il 7 ottobre 2023, all’alba, mentre era di guardia in un carro armato nei pressi del kibbutz Nirim. Era in servizio militare da meno di un anno. Quando i genitori hanno cercato di contattarlo, non ha risposto ai messaggi. Qualche ora dopo l’attacco di Hamas, il padre Yehuda ha riconosciuto il figlio in un video diffuso online: trascinato a terra da miliziani di Hamas, fuori dal carro armato in fiamme. «L’ho visto con i miei occhi e da allora non penso ad altro», ha spiegato Yehuda.
Nimrod amava i cubi di Rubik e ne aveva uno con sé il 7 ottobre, nel carro armato. Le IDF lo hanno restituito alla famiglia, parzialmente bruciato. «Ci è arrivato insieme alla conferma del rapimento. È stato come ricevere una parte di lui, ma spezzata», ha raccontato sua madre, Viki. Nel novembre 2023 alcuni ostaggi liberati nel primo accordo con Hamas hanno rassicurato la famiglia: Nimrod è vivo e resiste. Poi per oltre un anno non sono arrivate notizie. Fino allo scorso febbraio quando uno degli ostaggi liberati nell’accordo con Hamas ha recapitato ai Cohen un suo messaggio: «Sto bene. Non preoccupatevi. Vi voglio bene».
Il 1° marzo è arrivato un altro inatteso aggiornamento, attraverso uno dei video di propaganda dei terroristi palestinesi: Nimrod compare solo per pochi istanti, riconoscibile da un tatuaggio. È la prima immagine chiara dopo oltre 500 giorni dal sequestro. «È stata la prima conferma visiva che è vivo. Eravamo tutti emozionati. Abbiamo guardato il video in loop, più e più volte, solo per vederlo muoversi. Ma è stato in un tunnel per oltre un anno e cinque mesi. Non è esposto al mondo esterno. Non conosciamo il suo stato mentale», ha spiegato la madre.
Nimrod ha una sorella gemella, Romi. Il ventesimo compleanno, lo scorso 11 luglio, l’hanno festeggiato per la prima volta separati, lei a Rehovot, lui sequestrato in qualche tunnel di Gaza. «Dobbiamo essere forti anche per lei», ha detto il padre durante una manifestazione organizzata a Rehovot proprio nel giorno del compleanno dei gemelli.
Ogni settimana i Cohen scendono in strada, protestano, scrivono lettere, rilasciano interviste. Sono andati a Washington per incontrare funzionari americani e chiedono di fare pressione sul governo di Benjamin Netanyahu perché arrivi a un accordo con Hamas. «Tutto dipende da lui», ha affermato Yehuda a metà marzo in un incontro a Londra organizzato dall’ambasciata israeliana. «Non possiamo più aspettare». Il tempo, ha avvertito il padre, gioca a sfavore di suo figlio e di tutti gli altri ostaggi.
A casa, l’assenza di Nimrod si vede nelle piccole cose, ha spiegato la madre. «Mi manca il suo disordine di vestiti lasciati sul pavimento; la vaschetta rimessa in frigo con solo un cucchiaio di gelato; la sua risata».
Il padre, invece, immagina spesso il momento in cui si rivedranno: «Come nei film di Hollywood, quando la porta si apre e tutto torna al suo posto. Non voglio pensare a uno scenario diverso. Voglio crederci».

d.r.