LIBRI – La grande disturbatrice

Maestra elementare e staffetta partigiana, Lidia Beccaria Rolfi venne arrestata nel 1944, a soli diciannove anni, per essere poi deportata nel Lager di Ravensbrück al quale sopravviverà. Avrebbe compiuto 100 anni l’8 aprile 2025, giorno in cui Einaudi porta nelle librerie Non si è mai ex deportati. Una biografia di Lidia Beccaria Rolfi, volume con il quale lo storico Bruno Maida amplia una prima biografia che aveva pubblicato per Utet diversi anni addietro. «Ho sempre considerato quella di Lidia Beccaria Rolfi una vicenda esemplare, da tanti punti di vista, che attraversa 70 anni di storia», spiega Maida a Pagine Ebraiche. «Amo definirla “una donna del Novecento”, una di quelle donne che dopo essere stata una giovane fascista è arrivata presto a una nuova consapevolezza, per poi fare una breve e del tutto irrilevante esperienza come partigiana in Val Varaita. Irrilevante come quelle di molti altri, ad esempio quella di Primo Levi. Con lui poi, negli anni Cinquanta, nascerà una bella amicizia. Sono state due vicende in qualche modo parallele: entrambi nel dopoguerra raccontano in pubblico quello che hanno vissuto e intanto sviluppano un’amicizia fatta anche di uno scambio di biglietti, sinora inediti, e pubblicati per la prima volta in questo volume».

Maida, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, per Einaudi ha già pubblicato alcuni volumi dedicati alle vicende dei bambini durante la Shoah e per molto tempo ha lavorato su Lidia Beccaria Rolfi: «La storica Anna Bravo, che le aveva dedicato una voce nel suo volume sulle Donne del Novecento promosso dal Senato, la chiamava “la grande disturbatrice”. È una definizione che mi trova molto d’accordo: nel lager Rolfi racconta la sua esperienza su taccuini che restano tra le pochissime testimonianze dirette e parlerà poi dell’esperienza del lager come di una sorta di università, espressione che poi Levi fece propria, ringraziandola pubblicamente. In Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, che è del 1978, Rolfi fa parlare altre donne: è una pietra miliare nella storiografia e nella memoria di Ravensbrück, il primo documento uscito in Italia. In L’esile filo della memoria: Ravensbrück, 1945: un drammatico ritorno alla libertà, uscito nel 2021 sempre per Einaudi, ha poi deciso di pubblicare i suoi taccuini. Un volume importante che purtroppo ha avuto una diffusione limitata a causa del Covid».

Maida la descrive come una donna capace di essere controcorrente, indipendente e autonoma. Rivendicava il sempre negato ruolo femminile e la sua la centralità, accettando di pagare il prezzo delle sue convinzioni prima da partigiana e dopo nell’ambito delle associazioni partigiane, sempre molto maschiliste. «Non è mai stata “al suo posto” e per questo è stata molto criticata. Lidia Beccaria Rolfi però è riuscita a guadagnarsi grande rispetto: era una socialista lombardiana, una bellissima figura politica che aveva scelto l’ambito locale per prendersi cura della propria comunità. A lei facevano riferimento molti politici. Nerio Nesi raccontava che era normale andare da lei a sentire il suo parere. E visto che lei non veniva a Torino tutti andavano a Mondovì. Semplicemente».

Tante belle storie, aggiunge Maida, si intrecciano intorno a questo volume, che lo storico percepisce come un dovere ma anche come un regalo a Lidia Beccaria Rolfi, a dieci anni dalla sua morte: «La fotografia che abbiamo scelto per la copertina mi pare bellissima, sorridente. Corrisponde a quello che lei ricordava sempre quando diceva di aver rubato cinquant’anni alla vita. Era uno dei suoi leitmotiv, insieme all’idea che non si è mai ex deportati. Aveva una gran forza d’animo, un fortissimo interesse per gli altri. E una forma di generosità che ha mostrato anche nell’ultima fase della vita, quando era già molto malata. Andava a Cuneo a fare chemioterapia, e lì si era messa a raccogliere le testimonianze delle malate terminali. Diceva di aver trovato un parallelismo con la sua esperienza del lager e che era giusto salvare quelle storie. Una disponibilità e un’attenzione nei confronti della vita che dobbiamo onorare».

Ada Treves