ISRAELE – La Corte suprema e le divisioni sul caso Bar

Interruzioni e proteste hanno segnato l’audizione alla Corte suprema israeliana dedicata al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar. Al centro del confronto, la legittimità della rimozione decisa all’unanimità dal governo di Benjamin Netanyahu. Un provvedimento che ha acceso lo scontro tra poteri dello Stato e riportato in primo piano la questione dell’indipendenza dei diversi ruoli istituzionali.
Nelle prime fasi dell’udienza un padre, che ha perso un figlio nell’attacco del 7 ottobre 2023, ha accusato la Corte di voler mantenere Bar in carica contro la volontà del governo. Dopo lo scontro, il presidente della Corte, Isaac Ami,t ha concesso all’avvocato Yehudah Puah, rappresentante di alcune famiglie delle vittime, dieci minuti per prendere la parola. Puah ha accusato il capo dello Shin Bet di negligenza: «Avrebbe dovuto essere licenziato l’8 ottobre. Il fatto che non sia accaduto prima è grave, ma almeno ora la decisione del governo dovrebbe entrare in vigore».

La posizione dell’esecutivo
Per il governo, rappresentato in aula dall’avvocato Zion Amir, il principio è chiaro: «Il governo ha l’autorità piena per nominare e revocare». La rimozione sarebbe motivata da una perdita di fiducia crescente, resa definitiva dopo gli eventi del 7 ottobre. Amir ha richiamato l’attenzione su episodi precedenti alla guerra, accusando il capo dei servizi di essere rimasto in silenzio davanti al rifiuto di molti riservisti di servire in protesta contro la riforma giudiziaria.
Al centro della discussione è stata poi la lettera inviata da Bar al gabinetto pochi giorni prima del suo allontanamento in cui contestava le modalità della decisione e sosteneva che avrebbe messo a rischio «una delicata indagine in corso sui legami tra gli associati del primo ministro e il Qatar». Per l’esecutivo quelle parole costituiscono una rottura istituzionale: «In qualsiasi democrazia, sarebbe stato licenziato subito». Amir ha negato l’esistenza di un conflitto d’interessi perché «la decisione è stata presa dall’intero governo, non da Netanyahu in quanto parte coinvolta nelle indagini». Per il rappresentante dell’esecutivo non era poi necessario coinvolgere il comitato per le nomine, non essendo previsto per questo tipo di incarico.

La posizione dell’avvocatura dello stato
Di tutt’altra opinione l’avvocatura dello Stato, rappresentata dall’avvocato Aner Helman, che ha definito il caso «un esempio da manuale di diritto amministrativo», tanto numerose sarebbero le irregolarità. Nessuna accusa formale, nessuna possibilità di replica, e nessun passaggio attraverso il comitato consultivo previsto da una decisione di governo del 2016.
Ma la questione, ha sottolineato, va oltre la forma: «Questa non è una causa di lavoro. È una questione istituzionale». Se basta una divergenza politica per rimuovere un vertice della sicurezza, si mette a rischio l’autonomia di una funzione che dovrebbe restare al riparo da logiche di parte, la tesi di Helman. L’avvocato ha poi sottolineato che le indagini su presunti legami tra Qatar e l’entourage di Netanyahu «non sono state avviate su iniziativa dello Shin Bet, ma su richiesta dei militari e in seguito a informazioni emerse pubblicamente».

Le domande della Corte
Il presidente della Corte suprema Amit ha messo in discussione il concetto stesso di «mancanza di fiducia», proponendo un esempio: «Se il governatore della Banca d’Israele prende una decisione sul tasso d’interesse e il governo è in disaccordo, si può parlare di sfiducia?». Per la collega Daphne Barak-Erez «nessun organo dello Stato ha discrezionalità assoluta» e ha osservato che l’interessato «non ha avuto tempo sufficiente per rispondere alle accuse, né gli è stata fornita una base concreta su cui costruire una difesa».
Anche il giudice Noam Sohlberg ha sollevato dubbi: «Non ci è stata fornita un’infrastruttura fattuale su cui basare una valutazione. Vorremmo sentire Bar direttamente». Helman si è detto disponibile a farlo intervenire in una sessione a porte chiuse.
La Corte ha lasciato intendere di condividere la posizione dell’avvocatura sulla necessità di coinvolgere il comitato per le nomine anche in caso di revoca.
L’udienza dovrebbe durare gran parte della giornata e, secondo ynet, la sentenza potrebbe non arrivare martedì.

Il paese diviso
Secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, la vicenda ha diviso l’opinione pubblica israeliana. Il 54% dei cittadini ebrei e il 71% dei cittadini arabi ritiene che il governo debba attenersi alla decisione della Corte. Il sostegno è molto alto a sinistra (96%) e al centro (73%), ma cala drasticamente a destra, dove solo il 32% sostiene la necessità di rispettare la sentenza, mentre il 56% la contesta.

d.r.