OSTAGGI – Evyatar David e le chitarre in attesa

Nella stanza di Evyatar David, a Kfar Saba, sono appese al muro tre chitarre: una classica, una acustica, l’altra elettrica. «Ogni venerdì sera suonavamo e cantavamo insieme», ha ricordato Ilay, il fratello maggiore. «Ora non riesco nemmeno ad avvicinarmi agli strumenti».
Evyatar, 25 anni, è prigioniero di Hamas da 550 giorni. È stato rapito al festival Nova il 7 ottobre 2023, insieme al suo migliore amico, Guy Gilboa-Dalal. I due si conoscono da quando avevano un anno e mezzo, sono cresciuti insieme, hanno condiviso scuola, esercito, viaggi. Quella mattina, Evyatar aveva scritto alla madre Galia alle 7:42: «Sto andando via con Guy, Ron e Idan». Poi, più nulla. Alle 11:00 un video su Telegram mostrava lui e Guy già in mano ai terroristi palestinesi, dentro Gaza. Ron Tsarfati e Idan Harmati, gli altri due amici con cui era fuggito e che avevano preso una strada diversa, sono stati uccisi durante l’attacco.
Da allora, la famiglia ha ricevuto frammenti di notizie sul figlio rapito dagli ostaggi liberati negli accordi tra Israele e Hamas di novembre 2023 e gennaio 2025. Poi lo scorso febbraio è arrivato il video di propaganda dai terroristi palestinesi in cui si vedono Evyatar e Guy costretti a osservare in silenzio il rilascio di altri due ostaggi israeliani. «Evyatar era pallido, emaciato, sembrava sul punto di piangere», ha raccontato il fratello. «Ma c’era, era vivo, e questo ci ha dato forza».
Prima del rapimento, Evyatar lavorava in un bar e progettava un viaggio in Thailandia e Giappone. «Da bambino sembrava Mowgli», ha raccontato la madre, intervistata da Israel Hayom. «Era un piccolo esploratore, vivace, pieno di gioia. Sempre pronto a saltare, arrampicarsi, mettersi alla prova». Poi è cresciuto, ed è diventato un ragazzo sensibile, riflessivo, con una calma che, ha aggiunto Galia, «ha potere». Un ragazzo «capace di ascoltare, sempre pronto ad abbracciare. Anche senza parole. Perché spesso non servono».
Dal tunnel in cui è detenuto, Evyatar ha fatto arrivare ai famigliari un messaggio tramite ostaggi rilasciati: gli manca suonare. La musica, anche ora, è il legame più forte con i suoi cari. Ogni giovedì, Galia e Ilay partecipano a un concerto in Piazza degli Ostaggi, a Tel Aviv. Portano strumenti, cantano, incontrano altre famiglie. «È un modo per tenerlo con noi», ha spiegato Ilay.
Le condizioni di prigionia, secondo i racconti degli ex ostaggi, sono durissime. Evyatar e Guy sono rinchiusi in un tunnel di undici metri. Una luce sempre accesa impedisce loro di distinguere il giorno dalla notte. Non ricevono cure. Il cibo arriva solo quando una guardia decide di lanciarlo. «Una delle cose più difficili che ho sentito di loro, più di una volta, è stato il pensiero di farla finita», ha raccontato in un’intervista al programma 60 Minutes Tal Shoham, ostaggio liberato che ha condiviso a lungo la prigionia con i due amici. «Mi hanno chiesto: perché vivere ancora?». La madre Galia, presente durante l’intervista, ha aggiunto: «Se lo faranno, lo faranno insieme. Ma non devono farlo».
In questo anno e mezzo Avishai, il padre di Evyatar, ha smesso quasi di parlare. Yaela ha confessato che le manca l’energia del fratello. Galia non riesce più a dormire né a cucinare. «La casa è ferma, come sospesa», ha spiegato a ynet.
Nelle interviste, Galia non si lascia andare alla disperazione. «Quando penso a Evyatar, gli parlo. Lo incoraggio. Voglio che sappia che siamo forti, che lo stiamo aspettando. È entrato in piedi e tornerà in piedi. Non ci sono altre alternative».
d.r.