ISRAELE – Gli ex ostaggi si appellano a Trump, a Gaza il 75% dei tunnel ancora intatto

Per molte famiglie degli ostaggi, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump rappresenta la più concreta speranza di poter riabbracciare i propri cari. Da mesi si rivolgono direttamente a lui, lanciando appelli, organizzando incontri, ribadendo il ruolo chiave del presidente Usa nell’accordo di gennaio tra Israele e Hamas. «Presidente Trump, lei mi ha salvato la vita. Ha salvato la vita di 33 ostaggi», ha confermato Keith Siegel, ex ostaggio, liberato a febbraio dopo 484 giorni di prigionia.
Le sue parole sono risuonate lunedì sera a Washington, durante una cena ufficiale del Comitato Nazionale Repubblicano del Congresso. Siegel è salito sul palco con la moglie Aviva, anche lei sequestrata e poi rilasciata, per ringraziare direttamente l’inquilino della Casa Bianca. Ma il suo intervento non è stato solo un omaggio: «Con il suo aiuto, riporteremo a casa tutti i restanti 59 ostaggi ancora a Gaza», ha affermato, rivolgendosi a Trump tra gli applausi della sala. Il presidente non ha fatto promesse, ma ha celebrato “il coraggio” dei rapiti e ribadito che Hamas è “un disastro per Gaza”.
La rete dei tunnel ancora in piedi
Nell’enclave palestinese la guerra è ripresa da settimane, dopo l’interruzione della tregua raggiunta a fine gennaio. E alcuni dati preoccupano i vertici militari: secondo fonti dell’emittente israeliana N12, dopo un anno e mezzo di guerra le Forze di Difesa israeliane avrebbero distrutto solo il 25% della rete di tunnel di Hamas a Gaza. Il restante 75% resterebbe operativo: qui vengono tenuti segregati gli ostaggi e da qui i terroristi cercano di ricostruire la loro influenza. Secondo N12, tra i tunnel ancora in piedi, numerosi sono collegati all’Egitto e permettono a Hamas di contrabbandare merci e armi.
Le operazioni di smantellamento delle gallerie procedono lentamente, ostacolate da fattori tattici e dalla complessità del terreno, spiega il Jerusalem Post. Le autorità israeliane mantengono il controllo del corridoio di Philadelphia, temendo che senza una presenza militare diretta il flusso di armi verso Gaza possa continuare indisturbato. Tuttavia, esperti militari e analisti di sicurezza dubitano che il solo presidio del confine possa bastare a interrompere i rifornimenti.
Nelle ultime settimane l’esercito ha avviato i preparativi per incorporare la città di Rafah e i quartieri limitrofi all’interno della zona cuscinetto lungo il confine con l’Egitto. L’obiettivo, secondo fonti della difesa, è duplice: impedire il ritorno di Hamas nell’area e creare una leva di pressione strategica in vista di eventuali negoziati. Ma secondo diversi soldati intervistati da Haaretz, il piano mostra alcune crepe, con regole d’ingaggio poco chiare e incidenti tra le truppe di Tsahal.
Tre scenari per Gaza
A fronte di un conflitto senza punti di svolta, l’ex generale Tamir Hayman, direttore dell’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (INSS), presenta tre scenari alternativi per Gaza: occupazione militare, assedio prolungato, o una nuova amministrazione civile alternativa con Hamas relegata alla clandestinità. La prima, spiega Hayman sul sito dell’Inss, è possibile dal punto di vista operativo, ma disastrosa per costi, legittimità internazionale e sicurezza interna a lungo termine. La seconda opzione «rischia di rafforzare la narrativa del gruppo e trasformare la popolazione civile in ulteriore leva contro Israele». La terza, definita «la meno dannosa», impone un pesante investimento politico e logistico.
Per evitare che a Gaza si affermi un “modello Hezbollah” — con un gruppo terroristico armato capace di paralizzare lo stato — Hayman sottolinea la necessità di istituire un regime di sicurezza che permetta a Israele di continuare a colpire le capacità residue di Hamas. La sopravvivenza del nuovo governo civile, aggiunge, va garantita fin dall’inizio, consapevoli che Hamas tenterà di sabotarlo. Serve, prosegue l’esperto, una forza di polizia palestinese autonoma da Hamas, ma in coordinamento operativo con Gerusalemme, sul modello delle operazioni congiunte in Cisgiordania. Solo così, conclude Hayman, si potrà evitare «l’eventualità più pericolosa: la continuazione del governo di Hamas».