OSTAGGI – Guy Gilboa-Dalal e il sogno giapponese

Per mesi Guy Gilboa-Dalal, 22 anni, si è concentrato sullo studio del giapponese. Da autodidatta, nella sua casa ad Alfei Menashe, in Cisgiordania, vicino a Kfar Saba, ha imparato i rudimenti per leggere, scrivere e poter capire la lingua. Una lunga preparazione per il viaggio atteso da una vita: andare in Giappone per due mesi. Sognava i ciliegi in fiore, le sale da tè, i templi e soprattutto i manga e gli anime, letti e visti in grande quantità fin da piccolo. La partenza per Tokyo era prevista poco dopo il 7 ottobre 2023. Prima, con il fratello Gal, sette anni più grande, e il migliore amico Evyatar David, aveva deciso di andare al Nova Festival di Re’im. All’evento si era presentato con indosso un kimono decorato.
Verso le 6 del mattino, i fratelli Gilboa-Dalal si sono scattati una foto da mandare alla madre. Li ritrae felici, abbracciati, mentre si godono la musica nel deserto. È l’ultimo sorriso condiviso dai due. Pochi minuti dopo, sono arrivati i razzi e l’assalto di Hamas. Gal è riuscito a fuggire, mentre Guy ed Evyatar sono stati rapiti dai terroristi palestinesi e portati a Gaza. Da 551 giorni sono rinchiusi in un tunnel, torturati dai loro aguzzini.
«Ero al festival per prendermi cura di Guy. E invece sono tornato senza di lui», ha raccontato il fratello maggiore, faticando a perdonarsi. Dal 7 ottobre tutta la famiglia è impegnata in un unico obiettivo: riportare Guy a casa. I genitori, Ilan e Meirav, hanno lasciato il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla campagna per il rilascio degli ostaggi. Meirav ha subito un’operazione a cuore aperto mesi dopo il rapimento. «Non avevo mai avuto problemi di salute prima», ha spiegato. «È come se mi fosse stata portata via la vita. Ora si vede anche nel mio corpo». Il momento più difficile è la notte, ha aggiunto Ilan, «quando i pensieri sulle condizioni di nostro figlio non si placano».
Le notizie sulle condizioni di Guy e di Evyatar sono arrivate da alcuni ostaggi liberati. I due amici si trovano in un tunnel, trenta metri sotto terra, incatenati in uno spazio angusto, privo di aria e luce, dove è impossibile stare in piedi. Dormono su materassi a terra, non hanno praticamente cibo, né cure. «Vivono nella sporcizia», ha detto Meirav. «Sono malnutriti e subiscono violenze fisiche e psicologiche continui». L’ultimo abuso è stato ritratto dagli aguzzini di Hamas in un video di propaganda: Guy e Evyatar costretti a vedere il rilascio di altri ostaggi. «Una crudeltà senza pari», ha commentato Ilan. Unico conforto è il fatto che Guy e Evyatar siano ancora insieme. «Alcuni ex ostaggi ci hanno raccontato che il loro rapporto è simbiotico. Dipendono l’uno dall’altro e si fanno forza a vicenda. Non osiamo immaginare cosa potrebbe accadere se dovessero essere divisi», hanno spiegato Meirav e Galia David, madre di Evyatar. «Si conoscono da quando avevano un anno e mezzo: le loro anime si sono scelte».
Alla storia di Guy è stato recentemente dedicato un cortometraggio d’animazione: Guygu, il soprannome con cui lo chiamano in famiglia. Realizzato dal regista Jordan Barr, il film racconta il mondo immaginario in cui Guy potrebbe rifugiarsi per sopportare la prigionia. Sakura in fiore, kimoni decorati, scenari ispirati agli anime: la cultura giapponese, che da sempre lo accompagna, diventa uno spazio simbolico di resistenza, ha spiegato Barr presentando il cortometraggio a Gerusalemme.
In una delle scene della pellicola, il giovane si dà un colpo sul petto, mentre la voce della madre sussurra: «Guygu, se senti che sei in pericolo, datti un colpo sul petto». Era una frase che Meirav gli ripeteva spesso da bambino, come gesto per affrontare la paura. «Forse l’ha usato anche in questi mesi per resistere a questa tragedia», hanno sottolineato i fratelli Ilan e Gaya.
d.r.