PESACH – Israele, Netanyahu e le sedie vuote per il Seder

«A Pesach ci riuniamo tutti con i nostri cari e raccontiamo la storia del nostro popolo che è uscito dalla schiavitù ed è entrato nella libertà». Così il primo ministro Benjamin Netanyahu ha aperto il suo messaggio alla vigilia della festività. Un discorso istituzionale, rivolto a un paese ancora scosso dalla guerra e segnato da 59 ostaggi ancora nelle mani di Hamas. «Molte famiglie avranno sedie vuote: per i nostri cari rapiti, per i caduti sul campo, per i feriti che stanno lottando nei reparti di riabilitazione per tornare a vivere», ha dichiarato, promettendo: «Insieme restituiremo i nostri prigionieri, insieme sconfiggeremo i nostri nemici, insieme abbracceremo i nostri feriti e insieme chineremo il capo in memoria dei nostri caduti». Il 7 ottobre alcuni pensavano che Israele sarebbe «affogato nel mare di fronte agli eserciti nemici», ha proseguito Netanyahu, richiamando le parole dell’Haggadah di Pesach. «Ma non solo non siamo annegati, ci siamo rialzati come un solo uomo e con mano forte e braccio teso abbiamo spezzato l’asse del male».
Le parole di Trump
Sul futuro degli ostaggi e sulla guerra a Gaza Netanyahu non si è espresso. Da Washington il presidente Usa Donald Trump ha invece toccato la questione. Durante una riunione del suo gabinetto, ha affermato che «si stanno facendo progressi» per il rilascio dei rapiti. «Molti sono già tornati, alcuni in condizioni gravi. Ma sono tornati. Ho parlato con alcuni di loro: quello che hanno vissuto è incredibile, e resterà con loro per sempre», ha dichiarato. «Stiamo lavorando con Israele e trattando anche con Hamas. È un gruppo pericoloso, ma vogliamo riportare a casa tutti», ha concluso.
A rafforzare le parole di Trump sono arrivate conferme da fonti diplomatiche: l’inviato speciale americano Steve Witkoff avrebbe parlato di un’intesa vicina, «questione di giorni», scrivono i media israeliani. Le trattative coinvolgono anche Egitto e Qatar e puntano a una tregua di alcune settimane, in cambio della liberazione di almeno otto ostaggi vivi e otto salme.
La famiglia di Omri
Nel frattempo, il conto alla rovescia per Pesach ha un significato diverso per chi vive con un’assenza quotidiana. Lishay Miran Lavi, moglie di Omri Miran, rapito da Hamas il 7 ottobre dal kibbutz Nahal Oz, ha raccontato la sua vigilia di festa all’Associated Press.
La loro seconda figlia, Alma, aveva appena sei mesi al momento del sequestro. Oggi ha due anni e non ha mai conosciuto davvero suo padre. «Sa che si chiama Omri e lo chiama «papà Omri», ma lo conosce solo attraverso le fotografie», ha sottolineato Miran Lavi, spiegando che ogni sera, prima di dormire, Alma e la sorella maggiore Roni raccontano al padre la loro giornata come se lui potesse sentirle.
La cucina della loro casa è rimasta esattamente com’era quella mattina di ottobre. Una maglietta appesa, un cubo di Rubik lasciato sul tavolo: piccoli dettagli congelati nel tempo. «Pesach è una festa di famiglia. L’anno scorso è stato difficile. Quest’anno lo è di più, perché è passato troppo tempo». Il compleanno di Omri, il secondo compleanno di Alma e la cena del Seder cadono tutti nello stesso periodo, ma ogni ricorrenza sembra amplificare il vuoto, ha spiegato Miran Lavi, criticando la decisione del governo israeliano di non proseguire sulla strada della tregua. «Se avessero continuato, forse oggi Omri sarebbe a casa», ha dichiarato. Le notizie indirette parlano di un Omri ancora in vita, avvistato da altri ostaggi liberati, ma le sue condizioni sono sconosciute. «So solo una cosa: che deve uscire ora. Ogni giorno che passa peggiora tutto».