OSTAGGI – Il paramedico Bar Kupershtein

Cinque anni fa, un incidente ha cambiato per sempre la vita della famiglia Kupershtein di Holon, a sud di Tel Aviv. Tal, il padre, si era fermato a prestare soccorso lungo una strada quando è stato travolto da un’auto. Da allora è costretto su una sedia a rotelle e ha perso la capacità di parlare. In quei giorni difficili, il figlio maggiore, Bar, si è fatto carico di tutto. A 18 anni ha preso in mano il chiosco di falafel appena aperto dal padre, si è trasferito dai nonni per lasciare spazio in casa all’assistente a domicilio, e ha continuato a essere la voce e le gambe di Tal.
«Ha aiutato tutti, ed era anche un ottimo ascoltatore», ha spiegato Tal in un’intervista per iscritto con Haaretz. «Io non parlavo, non camminavo, ero diventato disabile. Volevo morire». A dargli la forza per continuare era stata la famiglia, Bar in testa. Influenzato dall’impegno nel volontariato del padre prima dell’incidente, il giovane aveva anche lui scelto di diventare paramedico, servendo nell’unità dedicata dell’esercito israeliano. «Bar è il tipo che, anche vestito di bianco ed elegante, si ferma per aiutare uno sconosciuto a cambiare una gomma a terra. Ha tante responsabilità sulle spalle, ma anche una grande forza mentale», ha raccontato al Times of Israel il cugino, Itzhak Tabatchnik. «Il 7 ottobre era al Nova Festival per lavorare e guadagnare soldi per sostenere la famiglia. Oltre ai genitori su di lui contavano i quattro fratelli più piccoli», ha aggiunto Tabatchnik.
Al festival musicale Bar lavorava come addetto alla sicurezza, ma quando è iniziato l’attacco terroristico di Hamas è tornato ad essere un paramedico. Ha evacuato decine di partecipanti fino al vicino moshav Patish, poi è tornato indietro più volte per aiutare altri. A un certo punto ha anche raccolto il fucile di un poliziotto ucciso per tentare di difendere chi era rimasto. Ma è stato sopraffatto dai terroristi e rapito.
La famiglia ha saputo del suo sequestro attraverso un video pubblicato da Hamas su Telegram la mattina del 7 ottobre. Bar era a terra, mani e piedi legati, gridava il suo nome ai rapitori per attirare l’attenzione su un altro ostaggio ferito. «Quello è Bar», ha commentato il padre. «Si prende sempre cura degli altri prima che di se stesso».
Per quasi un anno e mezzo non ci sono stati segnali, poi, all’inizio di aprile, Hamas ha diffuso un video di propaganda con Kupershtein e un altro ostaggio, Maxim Herkin. Secondo uno degli ex ostaggi, Bar ha imparato l’arabo dai rapitori e il russo da Herkin. Non sa che suo padre in questi mesi, grazie al lavoro con un logopedista, ha imparato di nuovo a parlare. Lo ha fatto spinto dall’esigenza di far sentire la voce del figlio sequestrato. «Se sono riuscito a parlare, se posso imparare a camminare, anche Bar tornerà da me», ha spiegato Tal. «Non c’è altra possibilità». Ogni giorno, da Holon, segue gli aggiornamenti, partecipa a incontri pubblici, prende parte a manifestazioni. Si è recato al Muro Occidentale durante le preghiere di Pesach, come gesto simbolico in nome del figlio. «Lui non sa che posso parlare», ha sottolineato. «Ma se davvero può ascoltare, voglio che senta la mia voce. Voglio che sappia che siamo con lui».
Il 2 aprile, nel giorno del suo ventitreesimo compleanno, a Tel Aviv, nella piazza degli ostaggi, centinaia di persone si sono riunite per esprimere solidarietà a Bar e alla sua famiglia. Alla fine dell’evento, la madre Julie è salita sul palco. «Mio amato Bar, ventitré anni fa mi hai resa madre. Sono qui, ancora senza di te, a festeggiare il tuo compleanno. Ma voglio che tu veda questa piazza, che tu sappia quanto il popolo d’Israele ti ama, si prende cura di te e continua a lottare per il tuo ritorno». Alla leadership israeliana i Kupershtein chiedono un accordo immediato. Lo ha ribadito di recente ai parlamentari della Knesset il fratello Dvir. «Bar non è solo un ostaggio, è mio fratello ed è un eroe. Ha evacuato i feriti sotto il fuoco nemico per salvare vite umane, è tornato più volte per salvare altre persone e quando è stato lui ad aver bisogno di aiuto non c’era nessuno a salvarlo. Riportatelo a casa subito, insieme a tutti gli altri ostaggi».
d.r.