SCAFFALE – Francesco Lucrezi: Scegliere di non capire

In tutta la sua lunga e feconda carriera di ricercatrice, Emilia D’Antuono – filosofa di fama internazionale – ha sempre avuto al centro della sua attenzione le tematiche legate alla tutela e all’implementazione della dignità dell’uomo, alla difesa dei più deboli, alla salvaguardia del creato, alla costruzione di un mondo retto da valori di giustizia, compassione, solidarietà. Di questo magistero hanno beneficiato intere generazioni di studenti, di colleghi, di lettori e ascoltatori che non vogliano rassegnarsi alla perdita della speranza in un futuro migliore.
Altamente encomiabile, pertanto, l’iniziativa di Gianluca Attademo, Alessia Maccaro, Francesco Miano ed Emilia Taglialatela di invitare una serie di autorevoli studiosi, cultori di diverse discipline (filosofia, diritto, medicina, teologia, sociologia, bioetica e altro ancora), a consegnare dei saggi vicini ai terreni di investigazione dell’illustre pensatrice. Ne è scaturita una silloge contenente 39 saggi, tutti di alto livello e grande profondità, curato dai quattro suddetti docenti: Pensare l’umano in dialogo con Emilia D’Antuono, ed. Lithos, Roma, pp. 362 (ma il formato dell’imponente volume è di grandi dimensioni, altrimenti il numero di pagine sarebbe stato almeno il doppio). La raccolta non ha affatto un valore di consuntivo, essendo l’onorata ancora in piena attività (anzi, mi permetto di dire, in un periodo di particolare energia creativa), ma vuole rappresentare soltanto un momento di riflessione comune e, come specificato nella introduzione, firmata dai quattro curatori, un attestato di stima, affetto e gratitudine verso questo grande contributo di pensiero. «Una ricerca – scrivono i curatori – tenace, ostinata, insonne, a tratti solitaria, ma anche collaborativa, continuamente pronta a riscoprire (prima ancora che nel patrimonio della tradizione filosofica, giuridica, storica, politica e teologica) nelle persone, negli uomini e nelle donne che abitano la terra l’initium, quel novum che, come spesso ci ricorda in dialogo con Hannah Arendt e Agostino d’Ippona, è motore e fine ultimo del pensiero».
Da decenni animatrice del Seminario permanente Etica bioetica e cittadinanza, del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica, della Commissione universitaria per l’organizzazione del Giorno della Memoria (insieme alle Università della Campania e del Molise e alla Direzione scolastica regionale della Campania), la D’Antuono nei suoi studi ha sempre dedicato un’attenzione particolare al pensiero ebraico, e allo straordinario patrimonio di sollecitazione etica, filosofica, culturale da esso scaturente. E, studiando l’ebraismo, si è spesso dovuta confrontare con quell’ “ombra nera” che, da duemila anni, grava su di esso, scatenando il cieco odio delle forze peggiori dell’umanità, che trovano negli ebrei e in tutto ciò che sia o ebraico (individui, popolo, religione, cultura, stato) il più comodo e facile parafulmine della propria frustrazione e ignoranza. In quanto tale, la sua riflessione, limpida e severa messa in guardia contro il sempre incombente pericolo del “sonno della ragione”, acquista oggi un significato di grande e dolorosa attualità, in tempi in cui, in tutto il mondo, si assiste a un impressionante dilagare dell’“odio antico”, malamente camuffato sotto nuovi, grotteschi travestimenti da carnevale, che non ingannano neanche i bambini.
Trattandosi di una raccolta di scritti “in dialogo con Emila D’Antuono”, non c’è dunque da stupirsi se pressoché tutti i contributi affrontano degli argomenti connessi, in qualche modo, con il pensiero, la storia e l’identità ebraici. Nell’impossibilità di accennare ai contenuti di tutti questi preziosi contributi (che sono riportati secondo l’ordine alfabetico degli autori), mi limito a scrivere due righe sul primo di essi, La “terribile maestà della legge” e il “diritto d’amore”, di Stefania Achella. Nel saggio viene esposta l’illuminante interpretazione che Emilia D’Antuono dà di uno degli snodi più importanti e dolorosi della filosofia occidentale, ossia le note posizioni antiebraiche di Hegel, vera e propria “macchia oscura” del pensiero europeo, che tanto avrebbe influenzato le sue successive evoluzioni e, soprattutto, degenerazioni. Secondo il filosofo, ricorda la Achella, la religione ebraica avrebbe rappresentato la massima espressione della “maestà della legge”, la quale avrebbe impedito “una vera unione tra gli uomini”, costituendo “una relazione fondata sul comando”. È la storia di Abramo, che “scelse di non amare, e di non essere libero”. Hegel critica duramente il comportamento del patriarca, e ritiene che il popolo ebraico, che lo avrebbe seguito lungo la strada dell’obbedienza al comando divino, ne avrebbe condiviso la scelta di “non amare”, segnando così il proprio destino.
Emilia D’Antuono (il cui pensiero viene riportato e commentato dalla Achella) interpreta queste pagine del filosofo, notando che egli «dipinge a tinte cupe il daimon che per lui è all’origine del destino del popolo ebraico. Il ‘genio’ dell’ebraismo incarna il pervertirsi dello spirito umano tanto attraverso l’alienazione al divino di ogni proprio potere e agire, quanto per la conseguente servitù al Dio-Signore». Queste parole avrebbero lasciato una scia nera nella storia del pensiero occidentale, e ad esse è stata ricondotta, a torto o a ragione, sia pure per vie traverse, la terribile deriva antisemita del popolo tedesco.
Non sono un filosofo, e non mi permetto di confrontarmi col pensiero di Hegel. Invito però a leggere non solo l’illuminante saggio della Achella, ma anche due fondamentali contributi della D’Antuono sul punto, L’umano al tempo del disumano Figure del dolore, figure della vita. Emilia aiuta a capire il vero significato del gesto di Abramo, che consiste non nel sacrificare la libertà per l’obbedienza, ma nello scegliere, insieme, la condizione dell’umano e l’accettazione del dolore, due cose che non possono mai essere disgiunte.
Abramo accettò il dolore insito nella condizione dell’umano, e Hegel “scelse di non capire”.

Francesco Lucrezi, storico

(Il dipinto in alto è: Sacrificio di Isacco – Caravaggio, 1603)