Shir Misan, la ragazza che ha afferrato la vita in corsa

Cantare, ballare, recitare. Era la quotidianità di Shir Misan fino a qualche anno fa. Oggi invece corre. Concluso il liceo nella sua Trieste, si era trasferita a New York con il sogno di lanciarsi nel mondo dello spettacolo. E ci stava riuscendo, portando avanti gli studi in musical theatre ed esibendosi su alcuni palcoscenici della Grande Mela. Un American dream andato in pezzi con la stretta sui visti del primo mandato di Donald Trump.
Al ritorno a Trieste, Shir ha provato a reimpostare la sua esistenza partendo da quanto appreso oltreoceano, «ma ho deciso di lasciare il mondo dello spettacolo per il desiderio di avere una stabilità economica e di iniziare subito a risparmiare: se un attore è bravo e determinato ha sicuramente successo e può vivere della sua passione per l’arte, ma a quel punto non era il mio obiettivo». E così sono iniziati i problemi, prima un brusio di sottofondo e poi la tempesta: «Ho iniziato a mettermi in dubbio, sono andata in down totale. La mia fortuna è stata avere due genitori razionali al fianco, subito pronti a scrollarmi: o fai un lavoro, di qualunque tipo, oppure torni a studiare. Così mi han detto e così ho fatto».

Istruttori deejay

Shir si è trasferita a Milano, dove si è iscritta all’università. I problemi in ogni caso hanno finito per riaffacciarsi anche lì: «Mi pesavo ogni mattina, non mangiavo più niente». A salvarla è stata ancora una volta la famiglia con la sua vicinanza e poi l’incontro con il mondo del fitness ad alti livelli. «Mi allenavo in modo costante per bruciare calorie. Nella palestra alla quale mi sono iscritta, un brand internazionale, sono rimasta colpita dall’approccio degli istruttori. Oltre a curare l’aspetto atletico intrattengono i clienti creando playlist secondo il gusto di ogni persona. Un po’ istruttori e un po’ deejay, insomma. Hanno risvegliato in me la vena artistica messa da parte negli anni newyorkesi e così ho deciso di diventare una personal trainer».
Ventinove anni e un bagaglio di sogni ancora da realizzare, Shir Misan ci risponde da Abu Dhabi. È riuscita nel suo intento. Negli Emirati è istruttrice ma anche runner, specializzata nella dieci chilometri. Ci è arrivata dopo una lunga rincorsa. Dallo studio di Milano in cui ha iniziato a impratichirsi del mestiere è stata mandata negli Usa per un periodo di formazione. Alcuni mesi dopo ha ricevuto un’offerta da Dubai, ma non ha potuto accettarla a causa di alcuni imprevisti. Quel pensiero non l’ha però mai abbandonata e così, nell’aprile di due anni fa, ha deciso di provarci comunque: «Sono volata a Dubai senza garanzie ma con un obiettivo: ottenere un contratto di lavoro, entro un mese». La firma è arrivata dopo appena cinque giorni di ricerca, ma con un vincolo: la sede di lavoro sarebbe stata non Dubai ma Abu Dhabi. Vicina sì, almeno sulla carta, ma in realtà un altro mondo. «Ho accettato al buio e ho fatto bene. Dubai è come New York: non si ferma mai, è sempre trafficata. Abu Dhabi è invece più residenziale e familiare. È lo stile di vita che cercavo, anche perché mi sveglio molto presto e vado a dormire di conseguenza. Alle cinque di mattina sono già in strada a correre».

Una sinagoga ad Abu Dhabi

La vita negli Emirati, racconta Shir, «è bellissima e in questo momento non vorrei essere da nessun’altra parte, sia per le opportunità lavorative che per la sicurezza». Anche se dopo il 7 ottobre, lei che è anche cittadina israeliana, ha dovuto adottare qualche cautela in più rispetto a prima. «Non per via degli emiratini, che non si espongono troppo nel merito, ma perché qui ad Abu Dhabi c’è una comunità importante di libanesi e palestinesi. I tre quarti dei miei clienti hanno questa origine e su Israele ho spesso sentito discorsi spiacevoli. A parte i miei datori di lavoro, che sono a conoscenza della mia doppia identità, io per tutti qui sono italiana e basta». Non è facile vivere così: «Tenere tutto chiuso in sé può essere a volte molto pesante, ma per fortuna ho accanto il mio ragazzo che mi sostiene». C’è in ogni caso un posto dove Shir ritrova forza interiore e fiducia, senza infingimenti di sorta: «Ho scoperto la sinagoga di Abu Dhabi quasi per caso, durante una classe di ceramica in cui una signora si è manifestata come ebrea, è stata lei a invitarmi al tempio. In sinagoga mi sento come in famiglia. Lì posso essere quella che sono, fino in fondo. Runner, istruttrice, ebrea».

Adam Smulevich