MEMORIA – Torino, le Carceri Nuove e il segno della deportazione

Chi da oggi passa davanti alle Carceri Nuove di Torino si imbatterà in una scritta semplice, ma impossibile da ignorare. Dipinta sull’asfalto, proprio davanti all’ingresso dell’ex carcere, recita:
«Tra il settembre 1943 e il marzo 1945 oltre mille persone, uomini, donne, partigiani, antifascisti, ebrei, furono imprigionate fra queste mura e di qui deportate nei lager nazisti».
È la “Soglia d’Inciampo”, un progetto di memoria urbana ideato dal Museo Diffuso della Resistenza, dall’ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati (Sezione Ferruccio Maruffi) e dalla Comunità ebraica di Torino. La “Soglia” si ispira al progetto delle Pietre d’Inciampo dell’artista tedesco Gunter Demnig, spiega Dario Disegni, presidente della Comunità ebraica torinese.
«Il Museo Diffuso della Resistenza ha deciso di completare la rete delle Pietre d’Inciampo apponendo, oltre alle pietre dedicate alle singole vittime, anche uno stencil con una scritta provvisoria per ricordare una collettività».
La scritta temporanea è realizzata con una vernice speciale, destinata a dissolversi nel tempo. Ma proprio questa sua natura effimera le conferisce una forza particolare, spiegano i promotori: «È una traccia visiva, un segno che interrompe il passo e impone uno sguardo, anche se solo per qualche giorno».
Un segno da oggi posto davanti alle Carceri Nuove con una cerimonia a cui sono intervenuti Disegni, il presidente del Museo Diffuso della Resistenza, Daniele Jalla, e la presidente dell’Aned Torino, Susanna Maruffi. «Oltre a un luogo di violenza, le Nuove sono state testimoni anche di piccoli gesti di eroismo», sottolinea Disegni. «Per questo ho voluto ricordare la storia di suor Giuseppina De Muro, che riuscì a salvare dalla deportazione i coniugi Zargani e il piccolo Massimo Foa, facendoli evadere dalla prigione. Foa fu nascosto in una cesta di biancheria sporca: un atto di grande coraggio, per il quale suor De Muro è stata finalmente riconosciuta come Giusta tra le Nazioni. Un episodio di grande umanità in un contesto buio di violenza».

d.r.