OSTAGGI – Aviv Atzili, il meccanico artista

Aviv Atzili aggiustava i trattori del kibbutz Nir Oz. 49 anni, una vita passata a fare il meccanico e tra i campi, maneggiando tutti gli strumenti agricoli. Alcuni, quelli messi male, usurati dal tempo e arrugginiti Aviv li usava per esprimere la sua vena artistica. Li incorporava in quadri o sculture, che realizzava per sé, senza prendersi troppo sul serio. «Non c’era ego nelle sue creazioni. Aviv era un artista, ma senza definirsi tale», ha ricordato la sua ex insegnante, Galia Heller. «Guardava le cose in modo diverso, aveva un buon occhio e un eccellente senso estetico». Amava in particolare dipingere miniature di vita quotidiana del kibbutz su attrezzi in disuso. «Sono fortunato», aveva detto poco prima della guerra, «per anni ho lavorato con le mani nell’agricoltura, ora, con l’arte, posso lavorare con le mani stando seduto».
Il 7 ottobre 2023, Aviv, 49 anni, era in servizio nella squadra di sicurezza di Nir Oz. Alle 8:27 ha lasciato un messaggio vocale alla moglie Liat e ai tre figli: «Ci sono diversi uomini dentro il kibbutz. Ne abbiamo eliminati alcuni. Rimanete chiusi dentro. Bevete acqua. Andrà tutto bene». Poco dopo è stato ucciso in uno scontro con i terroristi di Hamas e il suo corpo è stato portato a Gaza. I risultati di un’indagine hanno indicato che potrebbe aver strappato un’arma a uno degli assalitori. «È così che me lo immagino», ha raccontato la moglie Liat, mentre difende il kibbutz e la famiglia.
Rapita il 7 ottobre, Liat è rimasta per 54 giorni nelle mani dei terroristi per poi essere liberata nel primo accordo tra Israele e Hamas. Ritornata a casa, ha scoperto il destino di suo marito. Nonostante rivoglia la salma di Aviv per poterlo seppellire, ad Haaretz ha spiegato che la priorità è portare in salvo i 24 ostaggi ritenuti in vita. «Non voglio che qualcuno rischi la vita per riportare il corpo di Aviv. È molto più importante salvare chi è ancora vivo». Da 578 giorni, ci sono ostaggi ancora imprigionati a Gaza. «Quello che ho vissuto io non è niente in confronto a ciò che stanno vivendo oggi», ha sottolineato Liat. «La situazione umanitaria è crollata. Sono molto preoccupata per le condizioni fisiche e mentali dei rapiti».
Liat non ha fiducia nel governo né nel primo ministro Benjamin Netanyahu. «Quando un disastro del genere accade sotto i tuoi occhi e la tua guida, la cosa più dignitosa da fare è dimettersi». Oltre a lottare al fianco delle famiglie degli ostaggi, Liat lavora alla ricostruzione del kibbutz Nir Oz. «Non sono d’accordo con chi dice che dobbiamo aspettare. Dobbiamo ricostruire le nostre case».
Intanto, a tenere vivo il ricordo di Aviv è la sua arte. A marzo 2025, alcune delle sue opere sono state esposte nella galleria di Givat Haviva, parte della mostra “Un kibbutz è a volte un indirizzo, a volte una casa”. I quadri di Atzili sono arrivati in questa piccola esibizione nel nord d’Israele grazie al lavoro di restauro del fratello Ronen. Sono opere, ha osservato il quotidiano Israel Hayom, che rappresentano la capacità di trasformare gli scarti in bellezza. All’inaugurazione della mostra era presente anche un amico di famiglia: Gadi Mozes, 80 anni, sequestrato il 7 ottobre da Nir Oz e sopravvissuto a 482 giorni di prigionia a Gaza. «Amavo Aviv con tutto il cuore, l’ho visto crescere. L’ho sempre conosciuto come un meccanico e un fabbro e poi mi ha rivelato la sua passione artistica. Le sue opere mi hanno sempre sorpreso. Mi ha commosso vedere come ha saputo unire il lavoro manuale, il talento e lo spirito». 

d.r.