LA SPEZIA – Premio Exodus a David Meghnagi: «Curiamo le parole»

Curare le parole, restituire loro un senso. Difendere, partendo da esse, la convivenza.
È l’urgenza invocata dallo psicoanalista e docente David Meghnagi, già coordinatore del Master in Didattica della Shoah all’Università di Roma Tre. Lo studioso è in partenza per La Spezia, dove giovedì mattina riceverà il Premio Exodus 2025 «in virtù della sua attività di strenua ricerca e conservazione della memoria della Shoah, di promozione di una cultura del dialogo e di pace».
Il riconoscimento, conferito dall’amministrazione comunale con il sostegno dell’Ucei, celebra l’epopea di cui La Spezia fu protagonista nell’immediato Dopoguerra, quando il porto ligure fu uno dei luoghi di partenza per migliaia di ebrei scampati alla “soluzione finale” e intenzionati a ricostruirsi una vita nell’allora Palestina mandataria, il nascente Stato d’Israele.
Sono storie tra abisso e speranza che Meghnagi evocherà nel corso di una lectio magistralis in programma alle 11 presso la Mediateca Regionale Ligure “Sergio Fregoso”, dove riceverà il riconoscimento dalle mani del sindaco Pierluigi Peracchini e dove intende porre l’attenzione tra gli altri sul tema della Memoria sotto attacco. Un attacco, sottolinea, «che inizia da lontano e che è riesploso sotto forma di assedio culturale dopo la tragedia del 7 ottobre, attraverso un salto di qualità nella demonizzazione di Israele e con sullo sfondo una caduta complessiva di conoscenza».
Anche il ricordo consapevole della Shoah è in pericolo. Perché, afferma Meghnagi, «quanto più è normalizzata la demonizzazione di Israele a prescindere da ogni sua azione, tanto più è demolito il Giorno della Memoria nel suo significato e valore: le questioni sono intrecciate e guai a pensare che sia un problema d’interesse solo ebraico». Il tema investe al contrario tutti, «perché mette in gioco la convivenza civile e i valori sui quali si è formata e consolidata dopo la Shoah». Il processo è irreversibile? «Accettarlo significherebbe rinunciare alla lotta, cosa che non intendo fare. Dobbiamo al contrario costruire dei ponti per fronteggiare questa deriva».
E la difesa, come detto, passa dalle parole. «Lo scorso anno ho tenuto una conferenza a Brescia», racconta Meghnagi. «Mi ha molto colpito che in alcune pubblicazioni impostate ideologicamente in un certo modo l’epiteto “sionista” sia stato usato con spregio verso Emanuele Fiano e nei miei confronti per il fatto di difendere l’esistenza di Israele». Come ricorda Meghnagi, già dopo la Guerra dei sei giorni (1967) e quella dello Yom Kippur (1973), in alcuni ambienti ha iniziato a prendere piede l’idea della «vittima diventata carnefice». Il problema si è però intensificato rispetto ad allora, perché nel frattempo «sono crollati molti e ulteriori tabù e questa ideologia ha trovato nuova forza, combinata anche con l’ascesa del panislamismo».
È il rifiuto di Israele. Totale, senza scampo. E una parte di colpa importante ce l’ha il mondo arabo, sostiene Meghnagi, perché ancora incapace in molti casi di confrontarsi con l’esistenza di uno Stato ebraico in quell’area del mondo. «Pur con tutte le loro contraddizioni, la strada è quella tracciata dagli Accordi di Abramo. Una svolta importante, perché si richiamano a valori culturali e religiosi e non solo politici». Tale intesa, conclude, «è pertanto estendibile nella prospettiva di una composizione politica dei conflitti che lacerano la regione e di una convivenza pacifica».

Adam Smulevich