OSTAGGI – Sahar Baruch e gli studi in ingegneria

Sahar Baruch era un ragazzo appassionato di anime, fantascienza e scacchi. 25 anni, originario del kibbutz Be’eri, era tornato a fine settembre 2023 da un viaggio in Sud America e stava per iniziare gli studi in ingegneria elettronica e informatica all’Università Ben-Gurion. La zia Meirav Barkai lo ricorda come un giovane «intelligente, ironico e realista, con un legame fortissimo con la sua famiglia, in particolare con il fratello minore Idan».
La mattina del 7 ottobre 2023, Sahar e Idan, soldato di leva ventenne, si trovano da soli nella casa della madre a Be’eri. Quando inizia l’attacco di Hamas, i due fratelli si rifugiano nella stanza blindata. Sahar blocca l’ingresso del rifugio con un armadio mentre i terroristi palestinesi cercano di farsi varco, lanciando granate e aprendo il fuoco contro la porta. Alcune schegge feriscono alla gamba Idan e il fratello invia subito alla madre Tammy, infermiera, le foto della ferita per sapere come curarlo. Fuori, i terroristi danno fuoco alla casa per far uscire i due ragazzi. Per tre ore Idan e Sahar resistono con la madre che li implora di rimanere dentro al rifugio. Poi il messaggio inviato da Sahar ai genitori: «Morire bruciati fa più male». I due giovani escono da una finestra e Idan poco dopo viene ucciso dai terroristi. Sahar invece, tornato indietro per prendere l’inalatore per il fratello asmatico, è catturato e portato via come ostaggio. Nelle stesse ore, a poca distanza, la nonna, Geula Bachar, 81 anni, è assassinata dagli aguzzini palestinesi nella sua casa.
Per settimane Sahar è stato considerato disperso, poi, al 40esimo giorno dal rapimento, Hamas ha diffuso un video di propaganda che lo mostrava in vita. La speranza della famiglia si era riaccesa. «Pensavamo di poterlo riabbracciare», ha commentato la zia Meirav al quotidiano Maariv. Poche settimane dopo ai genitori, Tammy e Roni, l’esercito notifica la notizia più dolorosa: Sahar è stato ucciso mentre era prigioniero. Il 3 gennaio 2024 il portavoce militare spiega la dinamica: il giovane israeliano è rimasto vittima del fuoco incrociato nel corso di un’operazione di esercito e Shin Bet per salvarlo. «Era a due passi da noi, potevamo riaverlo a casa», ha sottolineato Meirav per poi abbandonarsi a una difficile confessione. «Quando sento le famiglie degli ostaggi preoccupate per i loro cari e con il cuore spezzato, mi trovo nella delirante situazione di invidiarle, di voler essere al loro posto oggi». Per lei il destino del nipote è la dimostrazione di come per riportare a casa i 24 ostaggi ancora in vita – secondo il presidente Usa Donald Trump sarebbero solo 21 – «non possiamo fare affidamento sulla via militare».
La salma di Sahar, assieme a quella di altri 34 rapiti, è ancora nelle mani di Hamas. Per i Bachar però la priorità è riportare indietro i vivi. «Nemmeno un soldato dovrà essere ferito per restituirmi il corpo di mio figlio», ha confidato Tammy alla sorella Meirav. «Il tempo degli ostaggi in vita sta scadendo, non devono fare la fine di Sahar».