ISRAELE – Timori per la vita di tre ostaggi

Si fa sempre più concreto il timore che il numero degli ostaggi vivi nelle mani di Hamas stia diminuendo. Di recente era stato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il primo a lanciare il segnale, parlando apertamente di 21 ostaggi ancora in vita, mentre fonti ufficiali israeliane continuavano a parlare di 24. Pochi giorni dopo il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva confermato: «Crediamo che 21 ostaggi siano ancora in vita, ma temiamo per la sorte di altri tre, di cui non abbiamo più alcuna traccia».
In queste ore i media israeliani spiegano che il timore riguarda due cittadini stranieri e un israeliano. Le rispettive famiglie sono state informate.

Le distanze tra Trump e Netanyahu
Sullo sfondo rimane lo stallo nei negoziati per la liberazione dei rapiti e la tregua a Gaza. Secondo il quotidiano Israel Hayom, i rapporti tra Trump e Netanyahu si stanno raffreddando a causa di questi rallentamenti. Il presidente americano sarebbe deluso dalle continue esitazioni israeliane nei negoziati e per il tentativo di Netanyahu di coinvolgere l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Mike Walz in un’azione militare contro l’Iran. «Trump ha perso la pazienza», riferiscono fonti del quotidiano, considerato vicino a Netanyahu, e avrebbe deciso di procedere con le sue mosse in Medio Oriente senza più attendere Gerusalemme.
Al centro della tensione c’è in particolare la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, un dossier strategico che Riyadh condiziona a un cessate il fuoco a Gaza e a un impegno israeliano, almeno simbolico, verso la prospettiva di uno stato palestinese. Ma su questi punti, Netanyahu prende tempo, irritando così Trump, scrive Israel Hayom.
La distanza tra i due si riflette anche nella gestione della crisi con gli Huthi e nella scelta di Trump, in merito al suo imminente viaggio nella regione, di non visitare lo stato ebraico. Netanyahu, dal canto suo, ha sottolineato: «Israele saprà difendersi da solo, contro qualunque minaccia e qualunque nemico».
Mentre Gerusalemme e Washington si confrontano dietro le quinte, ad alzare la voce in pubblico è Emily Damari, ex ostaggio di Hamas, che ha criticato duramente il comitato del Pulitzer per aver assegnato il premio al poeta palestinese Mosab Abu Toha. Damari lo ha accusato di aver messo in dubbio la sua prigionia e di aver negato pubblicamente i crimini di Hamas. «Non è un coraggioso scrittore, ma un negazionista. E premiarlo significa condividerne l’ombra», ha denunciato Damari.

(Nell’immagine, l’incontro a Washington tra Trump e Netanyahu nel febbraio 2025)