SALONE DEL LIBRO – Quale futuro per la politica, dialogo a tre voci

In un’epoca segnata da mutamenti rapidi e profondi, in cui le certezze vacillano e le coordinate collettive sembrano dissolversi, ha ancora senso parlare di politica? È questa la domanda al centro dell’incontro ospitato al Salone del Libro di Torino, promosso dalla Comunità ebraica di Torino e dalla Fondazione Vittorio Dan Segre, in collaborazione con La Stampa. Protagonisti del dialogo: il deputato Pd, Gianni Cuperlo, il direttore de La Stampa, Andrea Malaguti e il direttore della Fondazione Dan Segre, Gabriele Segre, in una conversazione nata «dal bisogno condiviso di orientarsi in un tempo che cambia più in fretta della nostra capacità di interpretarlo», ha esordito Segre.
A tenere insieme il confronto è stata un’immagine: il celebre esperimento morale del filosofo Michael Sandel. Tre bambini – Anna, Carla e Bob – e un solo flauto. Anna lo sa suonare, Carla lo ha costruito, Bob non possiede nulla. A chi va consegnato? «Nel momento in cui decidiamo facciamo politica. Perché la politica è, prima di tutto, la scelta di una priorità», ha sottolineato Cuperlo. Quel flauto, però, è stato distribuito diversamente nei diversi momenti della storia: ai meritevoli, agli svantaggiati, ai legittimi proprietari. Oggi, il dubbio è se ci sia ancora qualcuno in grado di decidere davvero. «Siamo sicuri che la politica abbia ancora in mano il flauto?», ha chiesto Segre. Oggi, la decisione sembra passata altrove: ai giganti della tecnologia e ai mercati ha sostenuto Malaguti. La politica sembra invece essersi ristretta, incapace di governare gli eventi, è trasformata in solo spettacolo.
Per Malaguti, la crisi è anche culturale. «L’Occidente ha vissuto a lungo con la sindrome di Anna: ha pensato che spettasse a lui suonare, che solo lui ne fosse capace. Poi ha guardato solo a Bob, dimenticando Carla, e ora ha perso di vista tutti». La globalizzazione, ha osservato, ha ridotto la povertà globale ma ha anche aumentato le disuguaglianze interne. «Il vero problema è che la politica è rimasta senza strumenti per governare questi processi. Non è solo in ritardo. È come se parlasse un linguaggio d’altri tempi mentre il mondo corre da un’altra parte».
Una diagnosi condivisa da Cuperlo, ma con una preoccupazione più profonda: quella per la fragilità delle democrazie. «Il vero rischio è che in assenza di rappresentanza reale, si crei spazio per nuovi poteri che agiscono oltre le regole». Non più solo governi forti, ma veri e propri modelli alternativi di società, sostenuti da visioni radicali. Come quella incarnata da figure come Peter Thiel ed Elon Musk: tecnologi e miliardari che teorizzano un potere concentrato, sganciato dai meccanismi democratici e legittimato dal talento o dalla forza. «Non sono degli improvvisati», ha avvertito Cuperlo. «Dietro di loro c’è un impianto ideologico preciso, che considera la democrazia un freno».
In questo contesto, che cosa resta della politica come progetto condiviso? La risposta, per Cuperlo, è la speranza. Il flauto, ha spiegato, non è un oggetto da distribuire, ma una possibilità da difendere. «Perché la politica può fare tante cose, giuste o sbagliate. Ma una cosa non può fare: togliere speranza».
d.r.