OSTAGGI – Manny Godard, il bagnino di Be’eri

Manny Godard aveva 73 anni, una passione per il mare, l’Hapoel Tel Aviv e per i nipoti. Nato a Tel Aviv nel 1950, era il quarto di cinque fratelli. Suo padre Yaakov era stato bagnino a Bat Yam e campione israeliano di nuoto; sua madre Sonia era una sopravvissuta alla Shoah, arrivata in Israele dalla Polonia dopo la guerra. A tredici anni, Manny era arrivato al kibbutz Be’eri insieme alla sorella Shmuela, in seguito a un lutto in famiglia. Da allora, non aveva mai lasciato il kibbutz.
Nel corso della sua vita, Manny aveva ricoperto diversi ruoli nella comunità: tipografo alla Be’eri Press, responsabile del negozio, della piscina, del settore alimentare e dell’economia interna del kibbutz. Ma il posto dove si sentiva davvero a casa era la piscina, per lui non solo un luogo di lavoro. «Per mio padre era una festa fare il bagnino», ha raccontato la figlia Bar. Da ragazzo aveva giocato nella squadra di calcio locale, prima di diventare professionista e poi interrompere la carriera per arruolarsi e combattere nella guerra dello Yom Kippur.
Il 7 ottobre 2023, quando i terroristi della Jihad islamica hanno fatto irruzione nella casa dei Godard, Manny è stato assassinato subito. Rimasta sola, Ayelet, educatrice storica del kibbutz, ha tentato di soccorrerlo: al telefono con gli operatori del Magen David Adom, ha provato a rianimarlo. «Seguiva le istruzioni, sperando di salvarlo, mentre fuori la casa era in fiamme», ha raccontato la figlia Bar. Quando ha capito che non c’era più nulla da fare, è fuggita e si è nascosta tra i cespugli del giardino. Da lì ha chiamato i figli: «Papà è stato ucciso, io mi sto nascondendo». È rimasta in contatto con loro per ore, finché la batteria del cellulare si è scaricata. È stata l’ultima volta che i figli hanno sentito la sua voce. I terroristi, dopo ave assassinato Manny, hanno ucciso anche Ayelet, lasciando lì la sua salma.
Il corpo di Manny invece è stato portato via da Hamas. «Ci avevano detto che non portavano via i corpi», ha ricordato Bar e per questo all’inizio il padre era nella lista dei dispersi. Solo a febbraio 2024 l’esercito ha confermato, sulla base di informazioni dell’intelligence, che il corpo si trovava a Gaza.
Al funerale, celebrato il 29 ottobre, la famiglia ha potuto seppellire solo frammenti genetici ritrovati nella loro casa: «Non è rimasto nient’altro», ha spiegato la sorella di Manny, Shmuela. Nei mesi successivi un’operazione di recupero della salma condotta dall’esercito a Gaza è fallita.
La figlia Bar, incinta di sette mesi durante l’attacco, si trovava con il marito e il figlio piccolo nella stanza blindata. Quando ha ricevuto la telefonata della madre, alle otto del mattino, ha capito che qualcosa di irreversibile stava accadendo. Nei giorni seguenti, con notizie frammentarie e confuse, la famiglia ha vissuto nell’incertezza. «Non ti resta niente a cui aggrapparti, nemmeno una tomba. È come se ti fosse stata strappata anche l’aria», ha spiegato Bar ad Haaretz. La piccola Noga, nata pochi mesi dopo, non ha mai conosciuto i nonni. «È un vuoto che si porterà dentro per sempre».
Durante una manifestazione in piazza degli Ostaggi, a Tel Aviv, Bar ha chiesto al governo di non mettere a rischio vite per riportare indietro i resti del padre: «Sappiamo che papà non lo avrebbe voluto. Serve un accordo. Non c’è altro modo per mettere fine a questa tragedia». 

d.r.