OSTAGGI – L’agente di polizia Ran Gvili

Ran Gvili aveva 24 anni, era un agente della pattuglia speciale Yasam della polizia israeliana e viveva a Meitar, una cittadina nel deserto del Negev, non lontano da Be’er Sheva. Cresciuto in una famiglia unita e molto legata alla comunità, era noto per il suo carattere forte, il suo senso del dovere e l’attenzione verso gli altri. «Per lui nessuno era invisibile», ha raccontato la zia Hila Milrad. “Segue con attenzione tutti: bambini, anziani, malati. È una persona che dà senza limiti”. Era anche molto legato alla sorella minore Shira, con cui condivideva un rapporto speciale: erano migliori amici e inseparabili.
Il 7 ottobre 2023, Ran era in congedo medico a causa di un incidente in moto. Aveva una spalla fratturata e avrebbe dovuto essere operato. Ma quando ha saputo dell’attacco in corso al confine con Gaza, ha lasciato l’ospedale senza pensarci due volte. «Papà, io vado», ha dichiarato al padre Itzik. Ogni tentativo di fermarlo era stato inutile. «Pensi che i miei amici combatteranno da soli?», aveva replicato al padre che gli aveva ricordato la spalla da operare. Ran ha indossato l’uniforme e ha raggiunto i rinforzi.
A quanto riferito dai sopravvissuti, Ran ha prima contribuito a proteggere le persone in fuga dal festival musicale di Re’im, poi ha combattuto contro i terroristi nel kibbutz Alumim. Ferito a una gamba e a un braccio, è riuscito comunque a salvare decine di civili. «Dopo i combattimenti ad Alumim, sapevamo poco della sua situazione», ha raccontato il padre. «Ha scattato una foto di sé con le ferite e l’ha mandata a suo fratello, dicendo che stava bene. Poi, il silenzio». Poche ore dopo, un’altra foto lo mostrava mentre veniva trasportato su una motocicletta verso l’ospedale Shifa di Gaza.
Per mesi, la famiglia ha sperato fosse ancora vivo. «Ci è stato detto che era arrivato vivo a Gaza», ha spiegato Itzik. «Per quattro mesi abbiamo sperato». Solo il 30 gennaio 2024 il rabbino capo militare, insieme a un’équipe di esperti, ha dichiarato ufficialmente la sua morte, sulla base di prove forensi e d’intelligence. La sua salma da 592 giorni è nelle mani di Hamas.
«Ran è mio fratello maggiore, il mio angelo custode e il mio migliore amico», ha ricordato la sorella Shira, 23 anni. I due avevano in programma un viaggio insieme in Sud America. «Facevamo tutto insieme. Dalle feste alle conversazioni sulla vita. Ran mi capiva con uno sguardo».
In un’intervista all’emittente Kan, il padre ha ricordato il coraggio del figlio. «Era un ragazzo forte ed eroico. Ha salvato decine di persone, combattendo nonostante le ferite». E ha aggiunto: «Tutti gli ostaggi devono tornare a casa, i vivi e i caduti. Nessuna famiglia deve essere lasciata indietro. La nostra forza, come popolo, è restare uniti. Ran ci credeva. Anche noi».
In famiglia si fa ancora fatica a parlarne al passato. «So che è assurdo, ma viviamo ancora con la speranza che arrivi un segno di vita», ha spiegato ad Haaretz la zia, Hila Milrad. «Credo che un giorno tornerà. E fino ad allora, non smetteremo di aspettarlo», ha confermato la sorella, pur consapevole del destino di Ran. Poi, nel corso di una commemorazione dedicata a Ran, ha concluso: «In tutti questi anni mi hai protetto e difeso dal male. Proteggermi era la missione della tua vita, e ci sei riuscito. Ti prometto che vivrò una vita felice e gioiosa e realizzerò tutti i miei sogni, i tuoi, quelli di papà e quelli di mamma. Prenditi cura di noi dall’alto».
d.r.