OSTAGGI – Gadi Haggai e Judith Weinstein, quarant’anni insieme

Judith Weinstein e Gadi Haggai erano, come li ha definiti la figlia Iris, «vere anime gemelle». Uniti per più di quarant’anni, avevano costruito insieme una vita nel segno dell’arte, degli ideali, della famiglia. Avevano quattro figli e sette nipoti. La loro storia era iniziata in un kibbutz del nord di Israele negli anni Settanta: Gadi, nato nel 1950 al kibbutz Ein Hashofet, era un giovane sassofonista jazz; Judith, newyorkese di nascita e cresciuta a Toronto, era arrivata in Israele per caso, dopo che un viaggio in Grecia era stato deviato verso il volontariato in un kibbutz. Si erano incontrati durante un concerto e da allora non si erano più lasciati.
Gadi, già primo flautista dell’orchestra dell’esercito, aveva inseguito il jazz negli Stati Uniti, ma tornato in Israele aveva scelto la stabilità: con Judi aveva fondato una band, poi si era reinventato chef, svegliandosi ogni giorno alle quattro per cucinare nella mensa del kibbutz Nir Oz, dove si erano trasferiti negli anni Novanta per vivere vicino alla natura.
Judith, per tutti Judi, era insegnante d’inglese, scrittrice di haiku e burattinaia. L’educazione per lei era molto più che una professione: era un atto d’amore. Insegnava anche mindfulness e aveva portato la meditazione in classe per aiutare giovani israeliani – e anche palestinesi – ad affrontare l’ansia del vivere vicino al confine. Ogni mattina scriveva una poesia. L’ultima, pubblicata il 7 ottobre, diceva:
«Il battito accelera / la mente crea nuove connessioni / mentre l’autunno mostra il suo volto».
Quel giorno, all’alba, Gadi e Judi stavano facendo la loro consueta passeggiata tra i campi. Avevano già bevuto il caffè, si godevano la luce del mattino, quando i razzi hanno squarciato il cielo. Si sono buttati a terra, hanno chiamato i figli e girato un breve video. «Cosa ha detto?» chiede Judi in ebraico, mentre le sirene suonano. «Allarme rosso», risponde Gadi.
Pochi minuti dopo, i terroristi li hanno trovati. Judi è riuscita a chiamare i soccorsi: Gadi era stato colpito alla testa, lei ferita al braccio e al volto. L’ambulanza inviata per salvarli è stata centrata da un razzo. Era l’ultimo contatto con la famiglia.
Da Singapore, dove vive con il marito e le tre figlie, Iris ha cercato disperatamente risposte. Ha contattato amici, autorità, paramedici, «ma nessuno ci diceva nulla. Sembrava un incubo». Solo a dicembre il kibbutz Nir Oz ha confermato la morte di Gadi. Sei giorni dopo, anche quella di Judi. Le loro salme da 593 giorni sono prigioniere a Gaza.
«L’unico conforto è sapere che sono morti insieme, perché si amavano così tanto», ha raccontato Iris in un’intervista ad Haaretz. «Hanno vissuto ogni giorno con intensità, con gioia, cercando di rendere il mondo un posto migliore. Questo mi dà la forza di andare avanti».
In una delle sue canzoni composte negli anni Ottanta, Gadi Haggai aveva scritto parole che oggi risuonano come una dolorosa profezia: «Qui nei campi siamo pieni di paura. La gente muore e gli uccelli non volano».

d.r.