USA – Yaron e Sarah, vittime dell’odio

Si erano conosciuti all’ambasciata israeliana a Washington. Lei, Sarah Milgrim, era entrata a far parte dello staff nel novembre 2023. Lui, Yaron Lischinsky, già lavorava lì come ricercatore. In pochi mesi erano diventati una coppia. Sarebbero partiti insieme per Israele domenica. A Gerusalemme, Yaron le avrebbe chiesto di sposarlo. Aveva già comprato l’anello.
Non ne avevano parlato con i genitori di lei, ma l’idea del matrimonio era nell’aria. «Yaron era incredibile», ha ricordato il padre di Sarah, Robert Milgrim. «Molto simile a lei: appassionato, intelligente, sempre dalla parte giusta». Sarah, 26 anni, originaria del Kansas, stava organizzando missioni e delegazioni all’ambasciata. Yaron, 30, si occupava di affari mediorientali nel dipartimento politico.
Mercoledì sera, all’uscita di un evento presso il Capital Jewish Museum, sono stati assassinati a colpi d’arma da fuoco. L’attentatore li ha attesi fuori dal museo e li ha colpiti a distanza ravvicinata. Entrambi sono morti poco dopo il trasporto in ospedale.
Sarah aveva due lauree magistrali, una in relazioni internazionali e una in risorse naturali e sviluppo sostenibile, ottenute tra gli Stati Uniti e la Costa Rica. Aveva lavorato in India, in America Centrale, con organizzazioni ambientali e progetti di dialogo israelo-palestinese, come Tech2Peace. Cresciuta in un sobborgo di Kansas City, aveva vissuto in prima persona episodi di antisemitismo: le svastiche nella sua scuola, la sparatoria del 2014 al centro ebraico di Overland Park. Intervistata all’epoca da un emittente locale, aveva confessato: «Mi preoccupo ad andare in sinagoga, e ora anche a scuola. Non dovrebbe essere così».
Yaron era nato in Israele, ma aveva vissuto quasi tutta la sua infanzia in Germania con la famiglia Poi, quando lui aveva 16 anni, i Lischinsky erano tornati in Israele. Era cresciuto in una famiglia mista: padre ebreo, madre cristiana. Si definiva cristiano praticante, ma profondamente legato al destino del popolo di Israele. «Aveva scelto Israele, si era legato al suo destino», ha spiegato Ronen Shoval, direttore dell’Istituto Argaman dove Yaron aveva studiato. All’Università Ebraica, riporta Haaretz, il giovane aveva brillato negli studi in relazioni internazionali e studi asiatici, specializzandosi in Giappone. Voleva diventare diplomatico e stava valutando di entrare nel corso cadetti del ministero degli Esteri.
«Era un idealista», ha ricordato un suo professore al New York Times. «Voleva costruire ponti, soprattutto con i paesi asiatici». Sul suo profilo scriveva di credere negli Accordi di Abramo e nella cooperazione regionale. Chi lo conosceva lo descrive come sempre sorridente, brillante, determinato.
Sei mesi fa, Sarah e Yaron avevano incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog durante la sua visita a Washington. Lei aveva scritto: «Grazie per il lavoro che fai contro l’antisemitismo e per essere una voce di unità».
Mercoledì sera, dopo aver letto le notizie sull’attentato, il padre di Sarah ha provato a chiamare l’FBI e la polizia locale. Non ha ricevuto conferme. Poi, la localizzazione dal cellulare della figlia ha mostrato l’indirizzo del museo. Infine è arrivata la telefonata dell’ambasciatore d’Israele, Yechiel Leiter.
«Stava facendo ciò che amava, stava facendo del bene», ha sottolineato Robert Milgrim parlando della figlia. «Ed è proprio questo che le ha tolto la vita».