USA – Gli Eminent Jews che hanno cambiato la cultura

Nel suo Eminent Jews (Henry Holt and Co., 2025), David Denby rende omaggio a una stagione irripetibile della vita intellettuale e artistica ebraico-americana del dopoguerra, tracciando quattro ritratti esemplari: Mel Brooks, Betty Friedan, Norman Mailer e Leonard Bernstein, figure diverse per temperamento, ambiti di azione e destino, accomunate dall’urgenza creativa e da un’identità ebraica vissuta con orgoglio, conflitto e invenzione. Denby, scrive TabletMag, celebra i suoi protagonisti senza indulgere in agiografie, ne mette in luce grandezze e debolezze, genialità e ossessioni, e pare consapevole di tutte quelle contraddizioni che rendono tanto profonda la loro impronta nella cultura americana del XX secolo. Mel n Kaminsky nel Lower East Side di Manhattan, è capace di incarnare quella parabola della comicità ebraica che si fa vendetta postmoderna disinnescando l’orrore con la parodia. Con The Producers, il cui titolo originale era Springtime for Hitler – Brooks osa ridicolizzare il male assoluto, per esorcizzarlo. La sua comicità eccessiva, anarchica e la sua risata che graffia e libera, sono figlie di una tradizione reinventata nell’America dell’abbondanza. Accanto a lui la figura di Betty Friedan, che con The Feminine Mystique dà voce al malessere delle donne americane relegate al conformismo domestico del secondo dopoguerra. Denby ne tratteggia il profilo senza nasconderne le zone d’ombra: una personalità difficile, un rapporto conflittuale con altre esponenti del femminismo e una vita privata segnata da tensioni. Eppure proprio in Brooks, nato Melviquesta complessità sta la forza del suo messaggio: il femminismo è una forma di riscatto anche personale da ruoli imposti e silenzi interiori. A turbare ulteriormente la quiete borghese pensò Norman Mailer, enfant terrible della letteratura ebraico-americana: autore di romanzi, saggi e pamphlet polemici, incarnò una mascolinità inquieta e provocatoria in bilico tra narcisismo e bisogno di trascendenza. Denby lo racconta come prototipo del “bad Jewish boy”: brillante, autodistruttivo, imprevedibile. Le sue intemperanze non oscurano però l’importanza di un’opera che ha ridefinito i confini tra finzione e reportage, tra arte e vita. Infine, Leonard Bernstein (nell’immagine durante un concerto in Olanda nel 1985), scrive ancora TabeltMag: musicista straordinario, direttore d’orchestra carismatico, uomo dalle molte contraddizioni. Con West Side Story ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del musical americano, ma il suo lavoro negli ambiti della musica classica e il ruolo da mediatore culturale sono ancora più significativi. Il ritratto di un momento storico in cui la cultura ebraico-americana non solo si integrava nel mainstream, ma ne diventava motore creativo. Brooks, Friedan, Mailer e Bernstein non furono solo famosi me modellarono una nuova identità: audace, irriverente, e consapevole. Una generazione che ha saputo trasformare la memoria dell’esclusione in un’arma di cultura.