GERUSALEMME – Noemi Di Segni (Ucei): Io credo alla convivenza

Yom Yerushalaim -28 Iyar 5785
In queste ore così dure per lo Stato di Israele, in piena guerra sui confini fisici e quelli ideali, di isolamento internazionale, con l’agognata attesa per il ritorno dei 58 ostaggi, ci troviamo a celebrare il 58° anniversario della liberazione e unificazione di Gerusalemme. Yom Yerushalaim e la conclusione della Guerra dei Sei giorni (non 60, né 600!), con le scelte di fondo compiute allora riguardo alla definizione dei nuovi confini, cittadinanza e stato civile accordato agli abitanti della città, ai Palestinesi e gli altri territori allora conquistati della Siria e dell’Egitto. La scelta ribadita (indiscussa da qualsiasi israeliano e discussa da tutti gli altri nel mondo) di affermare Gerusalemme come Capitale dello Stato di Israele, ribadendo la sua centralità storica.
So bene che dinanzi allo shock e al lutto generale per il massacro del 7 ottobre, dinanzi alle decine di migliaia di vittime di Gaza e la devastazione, dinanzi all’insistenza sulle responsabilità sul 7 ottobre e sulla conduzione odierna della guerra, con un crescente antisemitismo nelle nostre città, dinanzi alle divisioni e lacerazioni dentro la società israeliana stessa, sembra impossibile credere alla convivenza. Ma io che sono nata e cresciuta a Gerusalemme ci credo. E penso che anche in tempi così duri non si debba cedere e si debba continuare a crederci veramente nonostante tutto. Credo in questa convivenza non come un sogno per i tempi del Messia e per un domani lontano frutto di accordi internazionali e negoziati con i vecchi e nuovi potenti del mondo, ma come quotidiano che circonda gli abitanti di questa città millenaria, dove si attraversano in pochi minuti spazi degli uni e degli altri.
Credo in questo quotidiano perché a Gerusalemme ho sempre vissuto così – e anche in questi ultimi giorni appena trascorsi – gli spazi e i luoghi dei giorni feriali e dello shabbat nei quali si incrociano fedi, culture e modi diversi di intendere la religiosità. Se la convivenza a Yerushalaim esiste dopo il 7 ottobre, nei giardini che costeggiano i percorsi panoramici più commoventi, negli ospedali e infermerie, nei supermercati, nei piccoli esercizi commerciali, nei taxi, nell’Università, nei cinema, nelle stradine della Città vecchia, nel Santo Sepolcro, nei centri commerciali, nel suono dello shofar cui è accostato il richiamo del muezzin e i rintocchi delle campane, allora è possibile anche in altre parti di Israele ed è possibile anche in altre parti del mondo. Se nel cuore del mondo esiste e si vive questa umanità allora è possibile che esista ovunque. Si tratta di volerla e paradossalmente di darla talmente per scontato che diventa realtà. Si tratta di volerla come singoli, come collettività, come governo di Israele. In un giorno di Festa per Gerusalemme con i suoi miracoli di sviluppo, concerti e avanguardia, con i suoi abitanti pronti ad accogliere visitatori, e le migliaia di persone che danzeranno in marcia con le bandiere di Israele verso il Kotel, questo è l’animo con cui mi accingo a trascorrere la giornata.
Tengo in un angolo del cuore il pianto per i caduti, l’angoscia per gli ostaggi, l’ansia per le sorti della guerra (o delle guerre), il dolore per chi la guerra la subisce come vittima intrappolata, la rabbia per chi si sacrifica nella difesa e chi si sottrae allo sforzo comune, la lucida consapevolezza che mentre io convivo altri progettano morte. Tengo in un altro angolo del cuore i timori per quanto si presenta qui come distorsione mediatica-politica-culturale-storica con tutti i perché a cui non riusciamo a rispondere, le minacce per le nostre comunità. Metto un attimo da parte le piccole angosce personali e lavorative. Rispondo anche oggi con la vita che continua e la fiducia nel futuro che leggo attraverso i nipoti che vanno all’asilo e in piscina, i preparativi dei genitori che avviano la giornata nella città prescelta al tempo della loro Aliyah, attraverso la sua luce naturale e quella progettata dal mio papà per illuminare la notte ogni angolo stradale e ogni via monumentale, attraverso la concitazione attorno al mercato di Mahane Yehuda, attraverso il rumore delle ruspe nei cantieri delle diverse arterie stradali e palazzi in costruzione che sovrasta quello delle sirene, attraverso i matrimoni appena celebrati e quelli in pieni preparativi, le nascite appena festeggiate e quelle attese, il tuono delle preghiere oggi invocate e partecipate.
Noemi Di Segni, Presidente Ucei