SOCIETÀ – L’arte dello shidduch ai tempi di Tinder

«Liberati dalle app di incontri». «Incontra gente di qualità». «Cogli i segnali di pericolo». L’anima gemella, assicura Aleeza Ben-Shalom, è a portata di mano. Per trovarla, spiega nel suo nuovo libro Matchmaker Matchmaker: Find Me a Love That Lasts, basta tenere i nervi a posto, applicare l’arte antica dello shidduch e il lieto fine è garantito. È il genere di promessa che si lascia scrivere. Se non che a riportare sotto i riflettori una delle tradizioni ebraiche più raccontate sullo schermo – l’usanza, diffusa soprattutto nel mondo haredi, di combinare matrimoni – è una delle matchmaker, ossia delle sensali, più famose del mondo.
A 48 anni, l’americano-israeliana Aleeza Ben-Shalom non è solo titolare di un’agenzia di matrimoni ebraici che vanta il 75 per cento di successi ma nel 2023 ha condotto su Netflix Jewish Matchmaking (il termine che traduce in inglese il termine ebraico shidduch), un reality di buon successo in cui aiutava un gruppo di single ebrei a incontrare il loro bashert – come in yiddish si chiama l’anima gemella, letteralmente “il predestinato”.
Ben-Shalom, che ha cominciato dando una mano ad amici a parenti, sostiene di aver aiutato oltre 200 persone a incontrare il partner giusto, sposarsi e mettere su famiglia. I clienti della sua agenzia Marriage Minded Mentor, fondata nel 2012, si trovano in maggioranza negli Stati Uniti, dove a lungo ha vissuto a Filadelfia. I suoi servizi sono però richiesti anche in Europa, America Latina, Sudafrica, Australia, Messico e in Canada, dove lavora in partnership con JMatchmaking, il sito di incontri creato dal rabbino di Montreal, Ysroel Bernath. E da quando, nel 2021, si è trasferita in Israele insieme al marito e ai cinque figli ha propiziato anche lì svariate unioni. Rispetto agli Stati Uniti, ha spiegato a Business Insider, «in Israele i single tra i venti e trent’anni sono più motivati a sposarsi come obiettivo finale degli incontri. Vogliono che succeda e prendono il processo molto sul serio».
Concentrazione e sangue freddo
È un approccio che Ben-Shalom ritiene essenziale perché l’incontro vada a buon fine ed è qui che entra in gioco la sua abilità professionale. Se un tempo il mediatore serviva soprattutto per incontrare possibili partner, oggi è sufficiente rivolgersi a internet. Ai tempi di Tinder, Bumble e OKCupid, conoscersi è facile. Basta iscriversi, scrollare i profili e scegliere il migliore. Dopo il primo appuntamento, si apre però un percorso a ostacoli. Delusioni e cuori infranti sono all’ordine del giorno e scoraggiarsi è facile, tanto più se si fa sul serio. In queste situazioni, sostiene Ben-Shalom, la sorte aiuta poco ma le antiche regole dello shidduch sono una bussola preziosa. «Non credo nella fortuna. Credo nel destino. Credo debba andare così. È nostro destino trovare un partner, costruire una vita insieme e per riuscirci basta darsi da fare e impegnarsi», ha spiegato a Kveller. Il primo passo è liberarsi dall’idea che l’amore sia un evento magico, che «un giorno il tuo principe arriverà e saprai che è lui perché sarà tutto quello che desideri».
È il mito dell’amore a prima vista, il «vissero per sempre felici e contenti» che conclude le fiabe. Rincorrerlo significa però votarsi al fallimento, dice Ben-Shalom. Il primo passo è dunque uscire da Fantasyland e rimboccarsi le maniche. Quando incontra un possibile candidato, scrive, la maggior parte delle persone è così impegnata a predire il futuro della relazione da dimenticare di costruirne una. L’obiettivo è invece imparare a conoscere chi si ha davanti e per farlo servono tempo, concentrazione e sangue freddo.
Per navigare questa fase, insieme a un database di possibili candidati, la matchmaker offre corsi, coaching e consulenze di ogni genere.
Fra le proposte più suggestive, il detox per chi è pronto a gettare la spugna; lo sviluppo di connessioni profonde e l’ormai celebre sfida dei cinque appuntamenti. Le regole sono elementari: ci si incontra cinque volte per un massimo di cinque ore l’una, a non più di cinque giorni di distanza, in cinque posti diversi. Si entra in relazione, si crea un legame e ogni decisione è rinviata alla fine. Il tutto senza sfiorarsi neanche con un dito, perché il contatto fisico rischia di illudere che l’intimità sia più profonda di quel che è.
«Questo è un modo tradizionale di incontrarsi, usato dai single ebrei come dai cristiani, musulmani, hindu e altri, che ha portato a secoli di matrimoni di successo. E se al sesto appuntamento va altrimenti, non è una tragedia: «Saprò che la persona che hai davanti ti piace davvero».
Per quanto filtrati negli psicologismi oggi di moda, i consigli di Aleeza Ben-Shalom ricordano quelli della nonna ed è proprio questa la sua forza. In un mondo dove la ricerca della perfezione è diventata incessante, la matchmaker ci riporta al terreno complicato e meraviglioso della realtà.
Le ragioni dell’amore
Il concetto di «bashert», predestinato, insiste, non significa che non ci saranno mai problemi. Il partner giusto non è perfetto ma è «perfettamente imperfetto per te». Quel che conta è costruire un rapporto duraturo. Per questo, ha spiegato a Kveller, vuole che prima di prendere una decisione i suoi clienti si pongano qualche domanda scomoda. Chi vorresti ti portasse in ospedale? Chi vorresti accanto a un funerale? E se dovessi affrontare una sfida, una perdita, un debito?
L’amore ha le sue ragioni che sfiorano il senso più profondo della vita. Per questo, dopo la tragedia del 7 ottobre in Israele la spinta al matrimonio si è fatta più forte. «Purtroppo la guerra è molto efficace nel favorire gli incontri. Anche il Covid lo è stato», ha spiegato Ben Shalom alla rivista Hadassah. «I momenti di crisi generano una crisi esistenziale. Le persone si chiedono: “Chi sono? Cosa voglio? Cosa sto facendo? Quali sono i miei prossimi passi? E come ci arriverò?” Per molti, questo significa trovare un partner». E sull’onda di quella tragedia e del rinascente antisemitismo, nel resto del mondo è aumentato il desiderio di un matrimonio ebraico. «Persone che prima dicevano: “Esco con chiunque, non importa”, ora dicono: “No, ho bisogno di sposare qualcuno che sia ebreo”», ha raccontato a Kveller. «Nel mondo ebraico stanno succedendo molte cose e non credo che qualcuno possa davvero capirmi se non è ebreo».
Daniela Gross