OSTAGGI – Elyahu Margalit, il Churchill di Nir Oz

Tutti lo conoscevano come “Churchill”, soprannome di cui nessuno ricorda la genesi. Solo la moglie Dafna lo chiamava per nome: Eli. Elyahu Margalit aveva 75 anni ed era un punto di riferimento del kibbutz Nir Oz, dove viveva dal 1969. Alto, con la barba incolta e sempre vestito con stivali e abiti da lavoro, trascorreva le giornate tra stalle e pascoli, spingendo un carrello per il mangime o curando un vitello malato. “Churchill” in Israele era considerato un’autorità tra gli allevatori di bestiame. Amava profondamente gli animali, in particolare i cavalli. Ne aveva cura ogni giorno, senza pause, con un senso del dovere che aveva qualcosa di rituale, hanno raccontato gli amici di Nir Oz. Chi lo conosceva lo descriveva come un uomo schivo e generoso, severo con i figli e quanto tenero con i nipoti. «Churchill era una sorta di Zorba il greco del Negev occidentale», ha scritto Gilad Sharon, suo amico di lunga data, in una lettera di addio pubblicata da ynet. «Tutti erano affascinati da quest’uomo che era tutto amore per gli animali. Dentro un corpo imponente, aveva il cuore innocente di un bambino», ha spiegato Sharon, figlio dell’ex primo ministro Ariel.
Il 7 ottobre 2023, come ogni mattina, Margalit si è alzato presto per dare da mangiare ai cavalli. Salito sul suo quad, si è diretto alla scuderia, ignorando le sirene che iniziavano a suonare nel kibbutz. Una telecamera di sicurezza lo ha ripreso mentre guidava con la calma di sempre. «Non aveva capito cosa stesse succedendo», ha sottolineato Dafna. Pochi minuti dopo, si è imbattuto in uno dei primi gruppi di terroristi di Hamas. È stato ucciso lì, accanto ai cavalli che amava. Il suo corpo è stato portato a Gaza, dove da 607 giorni è tenuto ostaggio.
Mentre i terroristi assassinavano Elyahu, la moglie Dafna era rimasta chiusa per ore con la nipotina di otto anni nella stanza blindata della loro casa. «Non sapevo come tenere chiusa la maniglia», ha raccontato. I terroristi sono entrati in casa, ma non hanno cercato di aprire la porta. «Non so perché non l’abbiano fatto. Se avessero aperto, ci avrebbero trovate a giocare».
Quel giorno anche la figlia di Elyahu e Dafna, Nili, infermiera, è stata rapita e tenuta prigioniera per 55 giorni. È stata liberata solo il 30 novembre. Il giorno successivo l’esercito ha informato la famiglia Margalit dell’uccisione di Elyahu. «Nostra nipote ripete in continuazione che non è giusto: “Perché ho avuto solo otto anni con il nonno?”», ha raccontato Dafna ad Haaretz. Per la moglie, finché la salma non tornerà, non potrà esserci pace. «Non so se riuscirò mai ad accettare quello che è successo», ha ammesso. «Ma per me è importante che Eli abbia una tomba, qui a Nir Oz, da qualche parte vicino, così potrò andarlo a trovare».
Il kibbutz ha voluto ricordarlo dove “Churchill” aveva vissuto e lavorato: la scuderia. Alcuni mesi fa è stata ripristinata e riaperta con una nuova insegna: La fattoria di Eli, con all’interno cavalli donati da un maneggio del nord d’Israele. Gli amici, gli ex colleghi e gli appassionati di equitazione che conoscevano Margalit hanno partecipato alla cerimonia. «Abbiamo sistemato tutto con ordine, come lo avrebbe fatto lui», ha raccontato uno dei promotori. «Questo posto è la sua eredità».
In una lettera aperta al marito, Dafna lo ha salutato con le parole del cantautore Arik Einstein: «La vita non è ancora tornata alla normalità. Le ferite non sono ancora guarite. Forse rimarranno per sempre. Forse ci vuole solo più tempo. Cosa succederà? Il tempo lo dirà».
d.r.