SCAFFALE – La scatola per camicie

Alla città di Livorno, com’è noto, si deve un contributo di particolare valore alla crescita del pensiero ebraico (in campo non soltanto religioso) nell’età contemporanea e, soprattutto, alla sua irradiazione in sempre più ampie fasce della società dei gentili, alla quale essa era, precedentemente, prevalentemente ignota. Basti pensare alle due luminose figure di Elia Benamozegh ed Elio Toaff.
A questa cerchia di alti pensatori, a cui tanto deve la cultura del nostro Paese, appartiene certamente Samuele Colombo (1868-1923). Allievo di Israel Costa ed Elia Benamozegh al Collegio Rabbinico di Livorno (dove, in seguito, ricoprirà il ruolo di docente e quello di direttore) e laureato in Lettere all’Università di Pisa, nel 1896 divenne membro dell’organo collegiale alla guida spirituale della comunità ebraica livornese, di cui fu Rabbino capo negli anni 1900-1923. Dal 1917 ricoprì la carica di primo presidente della Federazione Rabbinica Italiana, che aveva contribuito a fondare l’anno precedente, e fu autore di numerosi saggi di critica biblica, di halachà e di filosofia ebraica, fra cui ricordiamo: Una questione di divorzio secondo il diritto ebraico (1895); Il pensiero religioso di Giuseppe Mazzini (1904); Lettere di Clementina de Rothschild ad un’amica cristiana (1904); Echà (1905); Sepoltura o cremazione? (1907); Il Cantico dei Cantici (1909); Verso Sion! (1920); Il Dio d’Israele e i valori morali (1920); La coscienza di un popolo (1923).Va salutata pertanto con grande piacere la scelta di raccogliere e pubblicare alcuni suoi importanti testi inediti, offerti al pubblico in una silloge di grande pregio: Discorsi per le festività, a cura di Ariel Viterbo, con un contributo di David Gianfranco Di Segni e la copia anastatica di Samuele Colombo (1868-1923). Discorso pronunciato nel Tempio Israelitico di Livorno per commemorare il 25° anniversario della Sua morte di Alfredo Sabato Toaff (1948) (Livorno, Salomone Belforte Editori, 2025, pp. 248, euro 40).
Il volume raccoglie 24 discorsi tenuti dal Rav al Tempio Maggiore di Livorno fra il 1905 e il 1920, in occasione delle maggiori festività del calendario ebraico, tratti dallʼarchivio personale del rabbino, conservato dai discendenti. I testi sono tutti di estremo interesse, e anche di grande attualità, e le riproduzioni anastatiche delle pagine originali, così come le fotografie d’epoca, mettono il lettore a contatto diretto con i tempi passati, rendendolo partecipe anche sul piano emotivo.
Gianfranco Di Segni, nel suo saggio La grande guerra e il sionismo nella visione storico-teologica di Samuele Colombo, Rabbino capo di Livorno, spiega come questi scritti vadano contestualizzati nella cornice delle grandi vicende che interessarono l’ebraismo italiano nel primo quarto del ventesimo secolo (quali la crescente assimilazione, la crescita del sionismo, la Prima Guerra Mondiale) e rivelino la notevole profondità di pensiero del loro estensore, e le sue rare doti di Maestro, interprete e comunicatore.
Il libro intende essere il primo di una serie di almeno tre volumi, che raccoglieranno tutti i discorsi inediti del Rav, tra cui quelli pronunciati in occasione di eventi comunitari, accadimenti storici, matrimoni, funerali, nonché il suo epistolario.
La prefazione del curatore, Ariel Viterbo, pronipote di Colombo, inizia con queste parole: «Questo libro inizia con una scatola per camicie, legata con lo spago, deposta nel grande armadio della biancheria, sullo scaffale più alto, nel tinello di casa Viterbo, in via Beato Pellegrino 96 a Padova: la casa della mia infanzia e della mia adolescenza. La scatola conteneva le carte di Nonno Samuele, nonno di mia madre Sara, rabbino maggiore della Comunità Ebraica di Livorno fra il 1900 e il 1923. Non ricordo di averla mai vista aperta, finché rimase a Padova: né mio padre, rabbino pure lui, né mia madre ebbero mai la curiosità di slegare lo spago e di consultare quello che vi era contenuto. La scatola era lì, semplicemente, accanto a pile di opuscoli, essi pure appartenuti a Nonno Samuele. Di lui sapevo poco, ma la sua era una presenza che aleggiava, sfocata, nella nostra intimità familiare».
Ma un giorno, per fortuna, la scatola fu aperta da Ariel, diventato archivista a Gerusalemme. Ed è nato, così, un commovente dialogo tra il pronipote e il bisnonno, a distanza di tre generazioni, di cui questo bellissimo libro è il primo frutto. La riapertura della scatola, e la fioritura del suo magico contenuto, svela il senso profondo, secondo me, della parola toledòt, “generazioni”, con cui in ebraico si rende il concetto di “storia”. La storia è una infinità di fili sottili, spesso nascosti o invisibili, che lega le generazioni. Spesso si spezzano per sempre, a volte, come in questo caso, resistono alla sfida del tempo.
Non ci resta che ringraziare, per questo regalo inaspettato, il bisnonno e il pronipote, entrambi, come molti sanno, cultori della parola: Samuele come Morè, Ariel come poeta. Due attività che, dopo avere letto gli scritti di entrambi, mi sembrano molto vicine.
Francesco Lucrezi, storico