OSTAGGI – Dalla Tanzania a Nahal Oz, la storia di Joshua Mollel

Joshua Mollel aveva 21 anni e veniva da Kirwa, un villaggio nel nord-est della Tanzania. Era il primogenito di cinque fratelli. Hosanna, Juliette, Nethanel e Dorex erano rimasti a casa con i genitori, lui era l’unico a essere partito per Israele, dove era stato selezionato per partecipare a un programma di formazione agricola. Sognava un futuro migliore, non solo per sé ma per tutta la sua famiglia. Aveva studiato agricoltura come suo padre, che ora fa l’insegnante, e in Israele vedeva una possibilità concreta di crescita. Era atterrato a Tel Aviv il 18 settembre 2023. Poche ore dopo aveva mandato una foto in posa dal kibbutz Nahal Oz, sorridente accanto al suo amico Evasius.
Ai famigliari raccontava di trovarsi bene in Israele. “Mi diceva: è un bel paese dove le persone lavorano sodo per guadagnarsi da vivere”, ha raccontato il padre Loitu Mollel ad Haaretz. I due si sentivano ogni giorno. “Studia, sii educato, comportati rispettando le tradizioni di un paese diverso e di una cultura diversa”, erano i consigli paterni.
Joshua avrebbe dovuto studiare e lavorare a Ibim, vicino a Sderot, ma provvisoriamente era stato mandato a Nahal Oz, dove aiutava nella stalla del kibbutz.
La mattina del 7 ottobre, Joshua si era presentato regolarmente al lavoro, alle 3:30, per occuparsi della mungitura. Quando sono iniziate le sirene, si è rifugiato in un riparo insieme a un collega thailandese. È riuscito a parlare al telefono con l’amico Evasius fino alle 9 del mattino, quando l’elettricità è saltata. Poco dopo, Hamas ha preso d’assalto il kibbutz.
Non si è saputo più nulla per giorni. La famiglia in Tanzania ha vissuto nell’angoscia, senza informazioni. Solo qualche giorno dopo, i media hanno iniziato a riportare la notizia di due tanzaniani dispersi. Il padre ha capito che uno di loro era il figlio.
Le conferme sul destino di Joshua sono arrivate attraverso tre brevi video, diffusi sui social media: nel primo si vede il ragazzo mentre tenta di spiegare ai terroristi chi è, nel secondo è ripreso il suo assassinio, nel terzo il suo corpo viene trascinato via al grido in arabo “un ebreo, un ebreo”. Da 608 giorni la sua salma è trattenuta a Gaza.
In Israele i tre video sono stati diffusi e condivisi tra le polemiche alcuni influencer e giornalisti. Sigal Rosen, dell’associazione israeliana Hotline per rifugiati e migranti, ha denunciato la condivisione delle immagini come una violazione della dignità della vittima. La stessa organizzazione ha espresso critiche al programma di tirocinio che aveva portato Joshua in Israele, descrivendolo più come un meccanismo per importare manodopera a basso costo che come un’autentica opportunità formativa.
Joshua non la pensava così. Era orgoglioso di essere stato scelto, entusiasta della vita nel kibbutz e desideroso di fare esperienza, ha spiegato il padre. All’inizio di gennaio 2024, Loitu è stato per la prima volta in Israele. Ha visitato la stanza a Nahal Oz dove Joshua abitava e la stalla dove aveva lavorato, il luogo dove era stato visto per l’ultima volta. Lì ha acceso una candela per commemorare il figlio, in attesa di una salma da seppellire.

d.r.