OSTAGGI – Omer Neutra, da Long Island alla divisa di Tsahal

Omer Neutra era nato a Manhattan poche settimane dopo l’11 settembre 2001. I suoi genitori, Orna e Ronen, israeliani emigrati negli Stati Uniti, lo avevano cresciuto a Plainview, Long Island. Fin da piccolo Omer si era distinto per il suo carattere solare, la determinazione e la voglia di mettersi in gioco, hanno raccontato i suoi cari. Frequentava scuole ebraiche, era molto attivo nei movimenti giovanili e al liceo era capitano delle squadre di basket, calcio e pallavolo.
Chi lo conosceva lo descriveva come un ragazzo sorridente, generoso, con un forte senso di responsabilità. «Era alto un metro e 88, sempre con quel sorriso che ti metteva in pace con il mondo», ha ricordato la madre. Per gli amici era una guida naturale.
Dopo il diploma, era stato ammesso alla State University di Binghamton, ma a 18 anni Omer aveva deciso di posticipare gli studi e di prendersi un anno sabbatico in Israele. Lì, ospite di parenti e coinvolto in programmi educativi, aveva maturato la sua scelta: arruolarsi come soldato solitario nelle Forze di Difesa israeliane. «È il mio turno di dimostrare il mio amore per Israele con i fatti, non solo a parole», aveva spiegato ai genitori.
Nei ranghi di Tsahal era diventato comandante di un plotone di carri armati nella 7ª brigata corazzata. Il 6 ottobre 2023, poche ore prima dell’attacco di Hamas, Omer aveva chiamato casa, spiegando al padre che, dopo settimane di tensione al confine con Gaza, finalmente si prospettava un weekend più tranquillo: l’allerta era stata abbassata.
La mattina seguente, all’alba del 7 ottobre, è iniziato l’attacco di Hamas. Omer e i suoi tre commilitoni si trovavano nei pressi del kibbutz Nir Oz, in una posizione avanzata e isolata. Il loro carro armato è stato tra i primi ad essere colpito. «Hanno combattuto come leoni per proteggere il kibbutz e respingere i nemici che li stavano travolgendo», ha raccontato la nonna, Tamar Zohar. Un missile anticarro ha centrato il mezzo. In un video diffuso da Hamas si vede Omer, ferito, accasciato vicino al blindato in fiamme. Poi, più nulla. Si sapeva fosse stato rapito, non le sue condizioni e per mesi la famiglia ha sperato fosse vivo.
Per 423 giorni Orna e Ronen hanno viaggiato tra Washington, Gerusalemme, Bruxelles e New York, raccontando la storia del loro figlio in sinagoghe, conferenze stampa e manifestazioni. Sono intervenuti alla Convention repubblicana nel 2024, alla vigilia delle elezioni, chiedendo insieme ad altre famiglie la liberazione degli ostaggi. Hanno incontrato l’amministrazione Biden, indossando ogni giorno una maglietta con il volto sorridente di Omer. In tutto quel tempo, hanno festeggiato due compleanni senza di lui, senza sapere se fosse vivo o morto.
Il 2 dicembre 2024, è arrivata la notizia più dura: l’esercito israeliano ha comunicato che Omer era caduto il 7 ottobre. La sua salma da 609 giorni è nelle mani di Hamas. «La nostra lotta non è finita. Vogliamo una tomba dove piangerlo», ha ribadito la nonna in piazza degli Ostaggi a Tel Aviv. Il padre, Ronen, ha ripetuto il suo appello: «Ora è il turno di Israele di dimostrare il suo amore per Omer e per tutti i suoi cittadini rapiti. Riportateli a casa».
Nel frattempo, a Long Island, la comunità ha deciso di onorarlo intitolandogli una strada: Captain Omer Neutra Way, davanti al centro ebraico che frequentava da bambino. Il 3 dicembre 2024, nella sinagoga dove Omer aveva celebrato il suo bar mitzvah, si è tenuta una cerimonia commemorativa. Oltre mille persone hanno riempito i banchi per rendere omaggio a quel ragazzo che molti sentivano di conoscere.
Tra le lacrime, la madre Orna ha preso la parola: «Abbiamo tenuto in vita il tuo nome ovunque, senza mai smettere di respirare. Ora le parole sono finite. Ma tu resterai per sempre il nostro figlio bellissimo, il nostro eroe».
d.r.