SOCIETÀ – Noemi Di Segni (Ucei): La mobilitazione per Gaza e le preoccupazioni del mondo ebraico

La guerra che si protrae in Medio Oriente da oltre 600 giorni ha portato a un logoramento esteso che riguarda anzitutto Israele e la popolazione palestinese, così come le comunità ebraiche nel mondo e, in qualche modo, anche l’Europa e le democrazie occidentali.

Israele, ferita e traumatizzata dal tragico massacro del 7 ottobre 2023, con il diabolico piano palestinese di ammazzare barbaramente e rapire donne, uomini, bambini, anziani, esausta dai molteplici attacchi missilistici che proseguono senza sosta, affaticata dallo sforzo di difesa: isolata come mai prima.

Gaza, ampiamente distrutta e ridotta in macerie, con un pesantissimo bilancio di civili uccisi e la popolazione stremata, sotto scacco dei terroristi di Hamas, incapace di schierarsi contro il terrorismo e di scegliere una leadership in grado di garantire i veri diritti dei palestinesi.

Le comunità ebraiche nel mondo, sotto minaccia di sicurezza, insulti di odio e rievocato sterminio, con forti limitazioni alla pratica di professare la propria fede in piena libertà, sconvolte da un’ondata di antisemitismo e odio razziale che non si palesava dai tempi della Shoah.

Le istituzioni democratiche dei Paesi occidentali e gli spazi del convivere civile, minacciati da infiltrazioni terroristiche e da varie forme di radicalizzazione, troppo spesso tollerate o sottovalutate, con flussi finanziari in favore di organizzazioni e movimenti collusi, anche studenteschi, in qualche caso anche sotto l’egida di organizzazioni internazionali.

In questi giorni – con intensificato impegno – Governi, Parlamenti, assise europee e internazionali, leader religiosi si sono attivati per promuovere appelli, iniziative, riconoscimenti, negoziati e percorsi che possano soccorrere le popolazioni civili coinvolte nel conflitto mediorientale; a questi si aggiungono istituzioni accademiche, sindacali e culturali, media, organi di stampa e scrittori, pensatori, regioni, comuni, movimenti politici e raggruppamenti di cittadini: tutti – lo penso sinceramente – massimamente e onestamente desiderosi di esprimere ragioni a tutela di valori superiori, convinti di doversi attivare per riuscire a porre fine al conflitto, là dove le parti e gli organismi internazionali preposti a promuovere pace e sicurezza hanno evidentemente fallito dopo oltre 18 mesi di guerra. Sono certa che le intenzioni di tutti sono orientate verso un bene generale e non sarebbe corretto leggere in ogni iniziativa una forma latente di antisemitismo.

Di tutti, ma non proprio tutti. Perché è evidente che, ben oltre i confini geografici del conflitto mediorientale, si è da tempo sviluppata una guerra di comunicazione manipolata, di propaganda e disinformazione, penetrata in profondità nella società occidentale, che finisce per svilire i diritti e le aspettative delle vittime di tutti i conflitti in corso oltre che per determinare – come in tutte le guerre – vantaggi economici, militari e politici a favore di singoli o gruppi altrimenti insignificanti.

Qualcuno sfrutta questa situazione, per noi ormai insostenibile, per destabilizzare e lucrare.

Qualcuno, anziché sostenere pari diritti per tutti, propaganda l’eliminazione di un popolo (“from the river to the sea” o “free Palestine”) a beneficio di un altro. Noi, ebrei italiani, in questo scenario cosi luttuoso che chiama alle responsabilità – di singoli e di leader comunitari – desideriamo ribadire il valore della vita e l’impegno a salvare vite umane a qualunque nazionalità appartengano, ad assicurare soccorso umanitario, al di sopra di ogni altro impegno, al di sopra di ogni conflitto e anche dentro a questa logorante e mai pianificata guerra.

Non ci riconosciamo in chi annuncia piani di svuotamento di Gaza dai suoi naturali abitanti, né in coloro – seppur isolati – che attaccano persone e beni nei villaggi della Cisgiordania. L’incitamento alla violenza è lontano da ogni morale ebraica.

Per questo avvertiamo un dolore lancinante dinanzi ad immagini e aggiornamenti quotidiani riguardo a feriti, civili uccisi, un crescente sentimento di disperazione che avanza e supera ogni limite e, soprattutto, il timore di non poter recuperare serenità nel vivere quotidiano, di dover rinunciare a qualsiasi fiducia nel prossimo per una futura convivenza.

Possiamo al nostro interno avere posizioni molto differenti riguardo le specifiche scelte del governo israeliano, le posizioni di altri partiti e le scelte geopolitiche passate e future, ma siamo uniti nel dolore e nella preoccupazione.

In vista della manifestazione a Roma del 7 giugno, pur comprendendo l’animo che muove gli organizzatori e i numerosi aderenti, grati dei continui messaggi che giungono da numerosi cittadini e rappresentanti di varie realtà che in varie forme ci esprimono vicinanza e stima per l’ebraismo o anche per Israele nel suo insieme, esprimiamo forte preoccupazione e riteniamo doveroso evidenziare carenze e incongruenze, facendo anche noi appello alle ragioni superiori:

• Siamo preoccupati per la scelta di difendere solo un popolo – quello palestinese – e non anche quello israeliano. Con una bandiera e non con due. Una striscia da ricostruire, una popolazione da nutrire, consolare e tutelare. Non due.

• Siamo preoccupati per un cessate il fuoco chiesto in modo unilaterale verso Israele, e non anche verso il gruppo terroristico di Hamas che ha progettato e realizzato il pogrom del 7 ottobre, che ha come obiettivo la distruzione d’Israele e del popolo ebraico e che è responsabile della scelta di continuare la guerra trattenendo ancora gli ostaggi, vivi o morti.

Siamo preoccupati per come le critiche al governo di Israele o al suo Premier – legittime come quelle rivolte a qualsiasi altro governo – si trasformino in un giudizio generalizzato e diffuso, senza rigore di prove, che ingloba Israele tutta in ogni suo aspetto e talvolta rinnova pregiudizio e odio verso l’intero popolo ebraico nel mondo.

• Siamo preoccupati perché forme di boicottaggio, disconoscimento, interruzioni di accordi storici e demonizzazione di Israele generano solo odio dilagante, si presentano come punizioni collettive e disconoscono il bene che per decenni è maturato per l’Italia, la sua economia, sviluppo, istituzioni e cittadini.

• Siamo preoccupati perché il bene del popolo palestinese è acclamato come pretesa rivolta unicamente nei confronti di Israele, senza ricordare le responsabilità storiche prima dei Paesi arabi, poi degli organismi internazionali, infine delle organizzazioni terroristiche che governano arbitrariamente a Gaza da decenni, indottrinano ragazzi e pianificano un nuovo sterminio.

• Siamo preoccupati per la sottovalutazione dei piani nucleari dell’Iran con altre potenze mondiali e dei finanziamenti distribuiti dal Qatar, per come i Paesi arabi e il Medioriente, tra teocrazie e califfati, apparentemente non abbiano esteso il braccio protettore sulla componente civile palestinese ma su quella miliziana.

• Siamo preoccupati, come cittadini italiani, per un livello di guardia e vigilanza sulla tenuta della nostra democrazia, i cui presidi sono abusati anziché usati, per escludere anziché includere, sottovalutando la reale minaccia e violenza che scaturisce da parole e slogan.

• Siamo preoccupati per l’isolamento delle nostre antiche comunità ebraiche, per secoli parte attiva e orgogliosa di un sistema sociale che ha contribuito alla costruzione, alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, oggi invece da alcuni viste unicamente come cellule negativamente collegate ad un Israele temuto come un cancro.

• Siamo preoccupati per le voci attigue alla piazza del 7 giugno, dentro gli atenei, le scuole, gli spazi culturali di associazioni che raccolgono l’eco dell’unilateralità e lo trasformano in appelli alla esclusione, alla distruzione ed alla vendetta, sotto lo sguardo distratto e indifferente dei più.

• Siamo preoccupati perché le voci e i volti dissidenti da dentro la striscia di Gaza vengono marginalizzati anziché incoraggiati.

• Siamo preoccupati perché gli ostaggi israeliani che sono trattenuti a Gaza da oltre 18 mesi, mai visti da organismi umanitari in spregio a qualsiasi convenzione internazionale, sono dimenticati, considerati merce di scambio anche da morti e strumentalizzati, ignorando le grida di dolore loro e dei famigliari;

• Siamo preoccupati per l’uso indistinto e irresponsabile di termini come genocidio, apartheid, che hanno significati precisi nella storia e che vengano strumentalmente adottati per fomentare odio, mentre altri termini come sionismo siano diventati per molti sinonimo di persecuzione e vendetta.

• Siamo preoccupati per come media e stampa si nutrono di immagini e narrazioni ripetute e ne ignorano altre: notizie false o diffamatorie diventano verità in pochi secondi, quelle reali rimangono per giorni nel pensatoio e nella verifica.

• Siamo preoccupati per qualsiasi ideologia che si rivolge al passato, incapace di guardare all’orizzonte futuro per riaffermare valori di rispetto e dialogo, offrendo soluzioni di reciproco riconoscimento e di convivenza.

• Siamo preoccupati di come l’Occidente stia manifestando interesse per le vittime civile della guerra a Gaza, com’è giusto che sia, in maniera tuttavia incoerente rispetto ai tanti e più gravi conflitti che persistono nel mondo, spesso dimenticati.

nonostante, restiamo convinti che l’opzione “due popoli e due stati” rappresenti ancora una meta moralmente doverosa, verso la quale alzare lo sguardo come orizzonte futuro di tutti per tutti, attorno alla quale valga la pena impegnarsi per creare le condizioni di leadership e di sicurezza, sradicando derive fondamentaliste e favorendo un ordinamento democratico, coltivando la cultura della vita e il reciproco riconoscimento.

È un sogno, si è sbiadito in questi logoranti mesi, ma è l’unica speranza.

Da qui l’appello e l’apprezzamento per chi si adopera a lavorare su entrambi i fronti, a favore di entrambe le popolazioni, a mostrare sempre entrambe le bandiere, mai una sola.

Noemi Di Segni