ISRAELE – Il paese ha fiducia nell’esercito, non nel governo

Donald Trump considerato un amico inaffidabile

A un anno e otto mesi dall’inizio della guerra a Gaza, un nuovo sondaggio dell’Institute for National Security Studies restituisce un’immagine complessa della società israeliana: forte sostegno all’esercito, scarsa fiducia nelle istituzioni politiche, stanchezza per una guerra senza fine e tensioni interne che rischiano di destabilizzare il governo.
Il dato più solido riguarda le Idf: il 75,5% degli israeliani dichiara di avere fiducia nelle forze armate. Dato che sale all’88% tra la popolazione ebraica e scende fino al 26% tra gli arabi israeliani. Il capo delle forze armate Eyal Zamir è oggi una delle figure istituzionali più apprezzate del paese, con il 67,5% di fiducia. La popolarità non si estende alla leadership politica: il 77% degli israeliani non si fida del governo, e il 72% boccia l’operato del primo ministro Benjamin Netanyahu.

La leva, i haredi e la stanchezza dei riservisti
Una delle questioni più calde rimane quella del servizio militare, al centro in questi giorni di uno scontro politico che minaccia la stabilità della coalizione. Il mondo haredi (“timorato”) chiede una legge che esenti gli studenti delle scuole religiose dalla leva obbligatoria. I partiti religiosi, parte della maggioranza di governo, hanno minacciato di far cadere l’esecutivo se non otterranno l’esenzione. Ma la maggioranza degli israeliani è contraria: il 60,5% ritiene che il governo non stia facendo abbastanza per promuovere l’arruolamento dei haredi.
In un paese dove centinaia di migliaia di cittadini sono stati richiamati alle armi, la fatica accumulata da mesi di guerra è evidente. Alla domanda se incoraggerebbero un famigliare a tornare in servizio in caso di nuovo richiamo, il 55,5% degli israeliani risponde di sì. Allo stesso tempo, il 74% si dice contrario a qualsiasi forma di sanzione per chi rifiuta un ulteriore turno di riserva a causa dell’esaurimento fisico o mentale.

Il futuro della guerra
Sul fronte di Gaza, il 61% è convinto che l’esercito vincerà la guerra, ma solo il 46% crede che verranno realmente raggiunti gli obiettivi politici dichiarati. L’operazione Carri di Gedeone avviata a marzo e pensata per infliggere un colpo decisivo a Hamas divide l’opinione pubblica: il 47,5% è contrario all’operazione, mentre il 43,5% la sostiene. Il 38% pensa che la strategia attuale non porterà né al crollo di Hamas né alla liberazione degli ostaggi. Guardando alla situazione umanitaria a Gaza, il 64,5% degli israeliani dichiara di non essere preoccupato, mentre lo scenario postbellico resta incerto. Il 42% degli intervistati sostiene l’ipotesi di una Gaza affidata a un governo tecnocratico sotto tutela araba o internazionale. Solo il 10,5% auspica il ritorno dell’Autorità nazionale palestinese nell’enclave, mentre il 23,5% propone il reinsediamento ebraico nella Striscia.

Israele più solo fra le nazioni e il ruolo di Trump
Intanto cresce la preoccupazione per l’isolamento internazionale. Il 64% teme che Israele stia perdendo sostegno sul piano diplomatico. Le dichiarazioni congiunte di Francia, Regno Unito e Canada, che accusano Israele di risposta “sproporzionata” a Gaza, sono percepite come ostili o basate su una lettura distorta della realtà da oltre il 70% degli intervistati.
Il ruolo di Donald Trump, tornato centrale nel tentativo di costruire un nuovo ordine regionale, viene letto con ambivalenza. Solo il 20% considera il presidente Usa un alleato realmente impegnato nella difesa di Israele, mentre il 51,5% lo accusa di agire esclusivamente per interesse personale. Un ulteriore 23% lo giudica imprevedibile, quindi inaffidabile sul piano della sicurezza. Eppure, il suo piano per una nuova architettura mediorientale attrae: il 46% degli israeliani crede che Gerusalemme sprecherà un’occasione storica non partecipando all’accordo regionale guidato dagli Stati Uniti per arrivare alla normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. Il 39%, invece, preferisce proseguire il conflitto fino al collasso definitivo di Hamas, anche a costo di restarne fuori.

Guardando a nord, il 60% degli israeliani è favorevole a stabilire relazioni dirette con il nuovo regime siriano, e il 55,5% si dice soddisfatto dell’attuale cessate il fuoco. Sulla possibilità di un intervento a favore della minoranza drusa in caso di scontri con il regime di Assad, il 41% propende per una soluzione diplomatica, ma oltre uno su cinque sostiene l’uso della forza.

Nonostante le incertezze, una maggioranza relativa (63%) degli israeliani crede che la società saprà rialzarsi. Ma il quadro che emerge dal sondaggio è quello di un paese diviso, affaticato e ancora alla ricerca di una rotta chiara per uscire dalla crisi.