OSTAGGI – Daniel Perez, amico di tutti

Daniel Perez aveva 22 anni, una risata contagiosa, amici ovunque e una passione per gli sport estremi, in particolare il wakeboarding. Era nato in Sudafrica, ma si era trasferito con la famiglia in Israele all’età di 13 anni, vivendo nella piccola comunità di Yad Binyamin, nel centro del paese. «Daniel era la persona più socievole che conoscessi», ha raccontato il padre, il rabbino Doron Perez, presidente esecutivo del Mizrachi World Movement. «Sapeva comunicare con tutti». Per la sorella Shira, Daniel era «il fratello più figo del mondo». Qualunque cosa le servisse, lui era «sempre pronto ad aiutarmi».
Nel suo diario personale Daniel si era appuntato una domanda che lo accompagnava in tutte le sue azioni: «Come posso migliorare ogni giorno come essere umano, soldato e comandante?».
Il 7 ottobre 2023 Perez si trovava nella base avanzata di Nahal Oz. Era comandante di carro armato nel 77° battaglione della 7ª brigata corazzata. Quel giorno lui e i quattro soldati del suo equipaggio hanno combattuto, quasi senza supporto, per oltre due ore contro i terroristi di Hamas. La “scatola nera” del loro carro armato ha registrato l’intera battaglia: 2 ore e 16 minuti di comunicazioni, ordini, determinazione. Un documento doloroso, ma prezioso, ha sottolineato il padre.
«È una delle cose più strazianti al mondo ascoltare le ultime due ore di vita di tuo figlio, sapendo come finirà», ha raccontato il rabbino Perez. «Ma è anche un privilegio sapere quanto lui e il suo equipaggio abbiano combattuto con impegno, unità e coraggio. L’ultima mezz’ora Daniel è uscito dal carro per aiutare un gruppo di tiratori scelti della Brigata Golani. È l’ultima immagine che abbiamo di lui vivo».
Mentre Daniel combatteva a Nahal Oz, suo fratello maggiore, Yonatan, comandante di compagnia nei paracadutisti, veniva ferito in uno scontro a fuoco e trasferito d’urgenza al Soroka Medical Center di Be’er Sheva. Quella mattina, la famiglia Perez si è trovata a vivere l’incubo: un figlio in ospedale, l’altro disperso. Di Daniel dopo la battaglia del 7 ottobre per mesi non si sa nulla. È tra i rapiti a Gaza, ma non ci sono informazioni sulle sue condizioni.
Nel frattempo, il fratello Yonatan decide di andare avanti con il matrimonio previsto due settimane dopo il 7 ottobre. «Ci chiedeva continuamente come potesse sposarsi senza suo fratello», ha ricordato il padre. «Quando mi sono avvicinato a lui sotto il chuppah, mi ha detto: «Non riesco a credere che Daniel non sia qui». Abbiamo pianto, poi ci siamo asciugati il viso dalle lacrime e abbiamo trovato il modo di festeggiare. È stato doloroso e necessario».
Per 163 giorni i Perez si aggrappano alla speranza del ritorno in vita del figlio. «Il 17 marzo 2024 si è spento tutto» quando il padre apre la porta ai militari che gli danno la notizia della morte di Daniel. Nonostante il suo corpo non sia ancora tornato da Gaza, tracce del suo sangue rinvenute nel carro armato hanno permesso una sepoltura conforme alla tradizione ebraica. «Non è il corpo, è la sepoltura che conta», ha affermato il padre. «Alcune famiglie non hanno nemmeno un luogo dove piangere il proprio caro. È un dolore insostenibile».
Per la famiglia Perez, la tomba di Daniel è diventata un punto di riferimento. «Andiamo lì ogni settimana», ha raccontato il padre a ynet. Ma la ferita resta aperta. Matan Angrest, unico sopravvissuto dell’equipaggio di Daniel, è ancora nelle mani di Hamas. Le famiglie Perez e Angrest si sono unite nella tragedia e nella speranza. «Siamo come una famiglia ora. Solo Matan sa davvero cosa è successo in quelle due ore nel carro armato».
Il rabbino Perez, che si definisce un uomo d’azione, sottolinea la priorità morale e religiosa di salvare vite umane. «Nella legge ebraica non c’è nulla di più sacro della vita. Certo, c’è un dilemma: liberare ostaggi può significare rilasciare assassini. Ma non abbiamo altra scelta. Un referendum nazionale mostrerebbe che il popolo israeliano lo sa».
Nel frattempo, la famiglia Perez convive con l’assenza di Daniel. Una mancanza che la sorella Shira aveva quasi intuito in un’intervista rilasciata al sito Makor Rishon, quando ancora la morte del fratello non era stata confermata. «Facciamo sempre una foto tra fratelli. Così io e mia sorella ne abbiamo scattata una con Yonatan il giorno del suo matrimonio… e all’improvviso ho capito che quella poteva essere la nostra nuova foto di famiglia. Mi sono chiesta: dov’è Daniel? Perché non è qui».
d.r.