OSTAGGI – Dalla Thailandia a Be’eri, Sonthaya Akkrasri e il sogno di tornare a casa

Sonthaya Akkrasri, 31 anni, era un uomo di poche parole. Telefonava ogni giorno alla madre Amorn e alla figlia Kaimook per sapere come stavano, ma del suo lavoro in Israele raccontava poco. Da otto anni lavorava come bracciante agricolo nei campi dei kibbutz israeliani: prima al nord, poi a Be’eri, vicino al confine con Gaza. Aveva lasciato in Thailandia moglie e figlia, che allora aveva solo un anno, con l’obiettivo di costruirsi una fattoria al suo rientro in patria. Akkrasri veniva dalla provincia di Nong Bua Lamphu, una delle più povere del paese asiatico e considerava il lavoro in Israele un’opportunità per tutta la sua famiglia, ha raccontato il padre. Inviava regolarmente una parte dello stipendio a casa e aveva investito per acquistare 15 bufali nel suo villaggio. Il contratto in Israele era in scadenza a ottobre 2023 e Akkrasri aveva in programma di rientrare definitivamente in Thailandia.
Il 7 di quel mese il kibbutz Be’eri è stato preso d’assalto da Hamas e diversi lavoratori thailandesi sono stati uccisi o rapiti. Akkrasri era nella lista dei sequestrati, ma non si sapeva nulla delle sue condizioni. Nei giorni successivi l’attacco, la madre ha riconosciuto il figlio in un video: accerchiato da terroristi palestinesi, indossava una maglietta grigia e bianca. Non ricevendo informazioni né da Israele né dalla diplomazia thailandese, Amorn ha provato a mantenere un contatto con il figlio nell’unico modo per lei possibile: «Continuavo a mandargli messaggi, video, immagini, anche se non rispondeva mai. Speravo almeno di vedere che li visualizzava, per capire se era ancora vivo», ha raccontato la madre, Amorn Akkrasri, all’emittente BBC.
Il 16 maggio 2024, giorno del 31esimo compleanno di Sonthaya, la famiglia ha ricevuto una chiamata dal consolato thailandese in Israele. «Quando ho visto la chiamata ero felice, pensavo fossero buone notizie». E invece era la comunicazione che il figlio era stato ucciso da Hamas e la sua salma portata a Gaza, dove si trova da 614 giorni. «Sono crollata a terra. Non riuscivo a parlare», ha raccontato la madre. Lì, nei campi, ha comunicato la notizia al marito. «Lui ha pianto. Ha detto che abbiamo mandato Sonthaya a morire. Poi mi ha chiesto perché hanno ucciso nostro figlio».
Alla nipote la nonna per mesi non è riuscita a dire nulla del destino del padre. «Ogni volta che vede un aereo, Kaimook mi dice: “Papà sta tornando”».

d.r.