ISRAELE – Evitata la crisi di governo, ma cresce la tensione con l’Iran

Un compromesso in extremis ha evitato al primo ministro Benjamin Netanyahu una possibile crisi di governo. Dopo giorni di alta tensione, i partiti religiosi hanno ritirato la minaccia di far cadere l’esecutivo, grazie a un’intesa raggiunta sul delicato tema delle esenzioni dal servizio militare per gli studenti delle scuole religiose. Il disegno di legge per sciogliere la Knesset è stato respinto con 61 voti contro 53, e Netanyahu ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Almeno sul fronte interno, perché se la crisi politica è stata tamponata, lo scenario regionale si è nuovamente infiammato. Secondo diverse fonti americane, Gerusalemme sarebbe pronta a lanciare un’operazione militare contro gli impianti nucleari iraniani, spinta dalla crescente preoccupazione per l’avanzata del programma atomico di Teheran. Le autorità israeliane temono che la finestra per fermare diplomaticamente l’Iran si stia chiudendo e che il regime sia ormai a un passo dall’arricchimento dell’uranio a livello militare. Un attacco israeliano potrebbe avvenire a breve, anche senza coordinamento con Washington, scrivono i media americani citando fonti d’intelligence Usa. Il timore di un’escalation ha spinto l’ambasciata degli Stati Uniti a imporre restrizioni ai propri dipendenti in Israele, mentre il Pentagono ha avviato evacuazioni e misure di allerta in tutto il Medio Oriente.
A rafforzare la percezione israeliana di un’urgenza crescente è arrivata anche la risoluzione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che per la prima volta in vent’anni ha accusato formalmente Teheran di violare i propri obblighi in materia di monitoraggio e trasparenza nucleare. Approvata a larga maggioranza dal Consiglio dei Governatori, la risoluzione denuncia la mancata cooperazione dell’Iran, l’occultamento di materiale radioattivo in siti non dichiarati e la sistematica ostruzione alle attività ispettive. Un segnale inequivocabile per Israele, che vede in queste conclusioni la conferma delle proprie preoccupazioni.
La reazione di Teheran è stata immediata e rabbiosa. Il governo iraniano ha annunciato l’apertura di un nuovo sito di arricchimento dell’uranio in una località segreta e l’attivazione di centrifughe avanzate di sesta generazione, sostenendo che «non ha altra scelta che rispondere» alla pressione internazionale. «Qualsiasi azione israeliana sarà accolta con una risposta senza precedenti», ha dichiarato un alto funzionario all’emittente nazionale. Il comandante delle Guardie Rivoluzionarie, Hossein Salami, ha rincarato la dose: «Il nemico ci minaccia di tanto in tanto, ma noi siamo pronti a ogni scenario».
Nel frattempo, a Gaza, la gestione degli aiuti umanitari resta al centro dell’attenzione. La Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta da Israele e Stati Uniti, ha denunciato un attacco armato contro un proprio autobus diretto a un centro di distribuzione a Khan Younis. Otto operatori locali sono stati uccisi e almeno ventuno feriti. Secondo la fondazione, l’assalto è stato compiuto da terroristi di Hamas ed è avvenuto dopo ripetute minacce rivolte al suo personale e ai civili assistiti. Hamas ha rivendicato l’azione come un attacco contro il clan Abu Shabab, ma la versione è stata smentita da quest’ultimo. Nonostante l’accaduto, la Gaza Humanitarian Foundation ha riaperto tre centri – due a Tel Sultan e uno a Wadi Gaza – distribuendo oltre 45.000 pacchi alimentari.

(Nella foto, il primo ministro Benjamin Netanyahu con il leader del partito religioso Shas, Aryeh Deri)