ISRAELE – Scuole chiuse e notti nel mamad, parlano gli italkim

Sorpresi dalla tempistica e dall’intensità dell’attacco israeliano, in allerta per le possibili reazioni dell’Iran, consapevoli della necessità di colpire un nemico che da decenni minaccia la distruzione dello stato ebraico, stanchi per una guerra che sembra non avere fine. I sentimenti degli italkim, gli italiani d’Israele, nel giorno della storica offensiva contro Teheran, hanno molte sfumature. Ad accomunarli è stata la sveglia alle tre del mattino, con l’allarme scattato dall’applicazione del Pikud HaOref, il Comando centrale che ha invitato tutto il paese a prepararsi a possibili attacchi iraniani.
«Ci siamo trovati nel cuore della notte, in pigiama, in dieci sul pianerottolo. È una situazione molto strana», racconta a Pagine Ebraiche Vito Anav, presidente della Hevrat Yehudei Italia, la comunità degli israeliani di origine italiana. «Non sono preoccupato: l’impressione è che tutto sia stato preparato con estrema cura, e Israele stia facendo danni enormi. È vero, siamo un paese in guerra, e la comunicazione – per esigenze nazionali – a volte accentua alcune informazioni. Ma è un fatto che dopo sette nostri attacchi, non siamo ancora stati colpiti da un missile o un drone iraniano. Poi questo è il Medio Oriente, e tutto può succedere».
Mentre è impegnato nell’intervista, le sue due figlie, ufficiali dell’intelligence, sono già state richiamate. «Una è qui e ha passato la mattina a dire ai suoi soldati di preparare le valigie per un periodo molto lungo. Per cui no, non ho paura, ma certo le preoccupazioni non mancano».
Dal sud, dalla comunità agricola Kokhav Michael, Daniela Fubini racconta l’ennesima giornata di normalità stravolta. Alle tre del mattino, lei, il marito e il figlio piccolo «come degli zombie ci siamo rifugiati nel mamad, la stanza blindata. Abbiamo tutto il necessario lì, ma ogni volta speri che non serva». Il figlio aspettava da tanto questo giorno perché c’era la festa dell’asilo e aveva imparato alcune canzoni da cantare ai genitori. “Ma tutto è saltato. Tutte le scuole sono chiuse, solo gli esercizi essenziali sono aperti. Lo abbiamo consolato, gli abbiamo detto che la festa si farà più avanti. Certo non è la cosa più grave, ma questo è anche un risvolto della guerra: cancella anche le cose più semplici. Ci sono genitori in tutto il paese che devono asciugare le lacrime dei loro figli… Per carità, che siano le uniche lacrime che asciughiamo in questi giorni». Fubini parla da madre, ma anche da cittadina: «Pesa questa sensazione che le decisioni vengano sempre prese sopra le nostre teste. Capisco che in questo caso non fosse possibile avvertire i cittadini, l’effetto sorpresa era importante, eppure avrei voluto avere voce in capitolo perché in questa guerra siamo tutti coinvolti. Lo so, è un paradosso».
Nel nord, a Haifa, Michael Ascoli riflette sulla portata e sul significato dell’operazione. «Non è stata una sorpresa assoluta. Era nell’aria da giorni. Ma nessuno immaginava un attacco così intenso né in quel momento esatto», spiega il rabbino e ingegnere. «Da un lato, l’attacco era necessario. Il mondo ha guardato per vent’anni l’Iran armarsi, promettere la distruzione d’Israele, e nessuno ha fatto niente. Alla fine, tocca sempre a noi. E poi ci giudicano. Ma dall’altro… il dubbio sul “quando” resta. È stata una scelta puramente militare o anche politica? C’è qualcosa, nella tempistica, che spinge a interrogarsi sulle scelte del governo». Il fatto di porsi questa domanda, aggiunge, è emblematico: «Vuol dire che fiducia nel governo è incrinata, mentre quella nelle Forze Armate resta altissima».
Per Nora Ortona, moglie di Vito Anav, l’attacco invece è un’azione importante condotta dal governo «È dal 2015 che il primo ministro Benjamin Netanyahu avverte il mondo, se non da prima. Contro tutti e tutto. E ora finalmente è stato colpito il nemico che ha sempre minacciato di distruggerci nel silenzio del mondo». Poi però sospira: «Avevamo in programma un viaggio in Madagascar, rimandato dal 7 ottobre 2023. Dovevamo partire di nuovo domenica. E invece niente. Spazio aereo chiuso. Sono due anni che proviamo a fare questa vacanza. Ma va bene così».
In Israele, intanto, tutto è chiuso almeno fino a domenica. Anav, in qualità di presidente della Hevrat Yehudei Italia, ha dovuto comunicare lo stop a tutte le attività comunitarie: scuole, sinagoghe, eventi. «Mi è costato, lo ammetto. Ma non si poteva fare diversamente. Quando arrivano direttive precise dal Pikud HaOref, vanno seguite. Non è questione di paura, è questione di responsabilità. La sicurezza viene prima di tutto».
Gli interrogativi sono tutti rivolti sul futuro. Quanto durerà questo conflitto? «Nessuno lo può prevedere e penso tutti in Israele siano profondamente stanchi di vivere in guerra. Non ne possiamo più», conclude Fubini.
Daniel Reichel
(Nell’immagine, l’aeroporto Ben Gurion evacuato)