ROMA – Presentato nuovo numero rivista Erre su Hannah Arendt

Contiene anche una intervista a Liliana Segre sulla “banalità del male” ai giorni nostri il quarto numero della rivista Erre della Fondazione Rut, dedicato alla figura di Hannah Arendt e alla sua teoria politica come fenomeno sempre attuale. La condizione umana come aspirazione alla libertà, libri rubati ed eredità culturale degli ebrei europei dopo la Shoah, crimini contro l’umanità, tempo e funzione sociale della giustizia sono alcuni dei temi salienti della pubblicazione, presentata nella sala Matteotti della Camera dei Deputati. «Vogliamo essere uno strumento di divulgazione della cultura ebraica, in una pluralità di voci», ha spiegato la sua direttrice Giovanna Martelli, che ha ricordato come il periodico nasca all’insegna di una “maternità importante”: il progetto di traduzione in italiano del Talmud babilonese.
Alla Camera in tante hanno parlato di Arendt: dalla scrittrice e traduttrice Elena Loewenthal alla ricercatrice in diritto costituzionale Nannerel Fiano, dall’avvocata Marilisa D’Amico alla filosofa Annarosa Buttarelli. In apertura d’incontro la parlamentare Maria Elena Boschi (Italia Viva) ha svelato di aver portato alla maturità una tesi su Arendt. «Tutto quello che ci ha lasciato è una base solida per fare politica», ha dichiarato Boschi. «Soprattutto oggi, in un momento di crisi del multilateralismo e delle organizzazioni internazionali e in cui l’opzione democratica non è così affascinante per tutti, abbiamo bisogno di rileggere Arendt. Anche alla luce del risorgente antisemitismo. Quello dichiarato e quello passivo, che non deve preoccuparci di meno». Per Clelia Piperno, direttrice del progetto di traduzione del Talmud, «Arendt è una compagnia di viaggio inquietante, solo in alcuni momenti rassicurante: quando la incontri non ti lascia più. Ha sempre scritto da donna libera. Le donne di oggi lo sono quanto lo era lei?».
Oggi, sostiene Segre nell’intervista che apre il quarto numero della rivista Erre, la “banalità del male” è divenuta di massa, perché «la diffusione e la pervasività raggiunta dai social media» mette ormai nelle mani di masse potenzialmente infinite i mezzi affinché «si possa non solo insultare, offendere, minacciare, ma talvolta anche condividere o addirittura pianificare aggressioni o attentati».

a.s.