TORINO – Anavim e l’IA, strumento da usare con le molle

Ebraismo e Intelligenza Artificiale, questo il titolo dell’appassionante incontro svoltosi giovedì al Centro Sociale della Comunità torinese per iniziativa dell’Associazione Culturale Anavim, davanti a un pubblico numeroso e attento in sala e a qualche decina di ascoltatori collegati online. A scavare con competenza in un terreno complesso e gravido di continui progressi come quello dell’intelligenza artificiale (IA), due personalità con lo stesso cognome (ma non parenti) e analoga profondità di valutazione: Fabiana Di Porto, giurista docente alla Sapienza e Presidente dell’AGE (Associazione italiana giuristi ed avvocati ebrei), esperta di legal tech e uso di tecniche computazionali per lo studio del diritto; e Rav Ariel Di Porto, sino a qualche anno fa Rabbino Capo di Torino e oggi operante in una delle sinagoghe romane, cultore appassionato e consapevole (grazie anche alla sua formazione filosofica) degli sviluppi dell’informatica applicata all’ebraismo. Moderava Giulio Disegni, Vicepresidente UCEI. Dopo alcune parole di introduzione generale all’IA a cura della presidente di Anavim Marta Morello Silva, l’incontro è entrato nel vivo arrivando al nodo: l’incrocio tra le straordinarie possibilità di aiuto in ogni settore (culturale, informativo, sociale, pedagogico, organizzativo) legate ai continui sviluppi tecnologici in corso e i rischi crescenti determinati proprio da un progresso inarrestabile che non sempre è facile prevedere, circoscrivere, controllare e indirizzare. Certo, ci ha informato e rassicurato la professoressa Di Porto, codici di indirizzo e impiego delle nuove tecnologie sono operanti in Europa e in corso di definizione in Italia, ma occorre aggiornarli di continuo ed essere capaci di mantenere una sorta di “collaborazione attiva” e perspicace con “macchine” – perché di questo si tratta, anche se siamo sempre tentati di umanizzarle – nate già negli anni Cinquanta del secolo scorso e da allora sempre in crescita evolutiva. Sullo status di “macchine” e la conseguente funzione di strumenti dell’umano pensare e operare anche in ambito ebraico si è soffermato Rav Di Porto, che con grande cognizione di causa e coinvolgimento personale ha sintetizzato le inaudite (e sino a poco fa impensabili) possibilità di documentazione, studio, confronto delle fonti offerte oggi dall’IA, ma con altrettanta saggezza e lungimiranza etica ha sottolineato la necessità di agire in modo equilibrato e prudente nel suo impiego, cercando di non perderne mai il controllo: il decisore, di fronte a problemi halakhici come a questioni personali legate all’ebraismo, è e deve restare sempre il Rav o un gruppo di sapienti, non un algoritmo che potrebbe comunque essere nutrito di dati falsati o condizionato per finalità distorte. L’umanità non è riproducibile in tutto: coscienza, sentimento, istinto restano per fortuna appannaggio esclusivo dell’essere umano, e questi sono in definitiva ingredienti fondamentali a monte di ogni scelta. La figura del Golem – l’automa di argilla creato dal Maharal di Praga – con la sua forza al servizio degli ebrei perseguitati ma anche con la sua potenziale irruenza distruttiva incontrollata, è aleggiata più volte nel corso della serata, richiamata in modo suggestivo anche dal midrash legato alla parola “Emet” (verità) che gli avrebbe dato “energia” e alla sottrazione della lettera Aleph che l’avrebbe trasformata in “Met” (morto) distruggendo così il robot divenuto pericoloso.

Come suggerito dal richiamo narrativo, è fondamentale non farsi sfuggire il controllo della macchina; ma ciò diviene anche assai arduo, quando l’evoluzione è rapida e imprevedibile come oggi avviene: giovedì sera si descrivevano macchine che si parlano tra loro, e così facendo incrementano a dismisura e in una direzione imprevedibile le loro capacità e potenzialità. Sembra fantascienza e invece è realtà attuale. Un mondo certo affascinante, ma – senza voler sfociare nella distopia – anche inquietante, come alcuni dei numerosi interventi del pubblico hanno sottolineato. E se l’IA si impadronisse dell’ambito morale, trasformando la nostra kantiana “ragion pratica” in una “dis-ragione pratica”? Forse, ci tranquillizza Fabiana Di Porto, non si arriverà a questo: le ultime innovazioni permettono di inserire nelle macchine, sin dalla loro costruzione, degli elementi in grado di indirizzarle sui parametri etici diffusi e condivisi nel genere umano. Insomma, se riusciremo a non divenire apprendisti stregoni che perdono il controllo dell’incantesimo, se non interverrà una potenza maligna tesa a sovvertire uno sviluppo razionale e costruttivo, allora l’intelligenza artificiale e più in generale l’informatica ci aiuteranno a costruire un mondo migliore e anche ebraicamente più realizzato. Dato che non ci sono alternative poiché lo sviluppo in corso dell’IA è inarrestabile, non ci resta che essere avveduti e sperare.

David Sorani