UN FUTURO DI PACE? – La principessa iraniana sceglie per marito un ebreo di Chicago

Bradley Sherman, giovane imprenditore ebreo originario di Chicago, è di recente balzato agli onori della cronaca per aver sposato la principessa Iman Pahlavi, nipote dell’ultimo scià di Persia. Ma più che una cronaca rosa, la loro unione sembra raccontare un incontro tra mondi, culture e memorie storiche. Laureato all’Università dell’Arizona e oggi attivo nel settore tecnologico come responsabile delle partnership presso Matternet – azienda all’avanguardia nelle consegne tramite droni – Sherman incarna la figura del professionista riservato, alieno dai riflettori, all’improvviso proiettato sulla scena pubblica grazie al matrimonio con una donna il cui cognome evoca un passato imperiale e di esilio. Iman Pahlavi, trentun anni, cresciuta tra il Maryland e Washington D.C., lavora come senior manager per American Express a New York, lontana dalle stanze del potere ma mai del tutto estranea alla narrazione simbolica della dinastia Pahlavi. La coppia si è conosciuta nel 2017 tramite amici comuni, ma è stato durante i mesi sospesi della pandemia che il loro legame si è consolidato, fino a condividere casa prima nel Maryland, poi a New York. Il matrimonio, celebrato prima civilmente a Manhattan e poi con un sontuoso ricevimento a Parigi il 9 giugno, ha attirato attenzioni ben oltre la cerchia familiare. Non soltanto per la location e per l’abito della sposa ma per ciò che quel gesto privato ha evocato nell’immaginario collettivo: la possibilità di un incontro tra identità diverse, tra memorie in parte contrastanti ma capaci di intrecciarsi con rispetto e delicatezza. Emblematico, durante la festa parigina, il ballo in cui gli sposi erano sollevati sulle sedie dagli invitati – un gesto di gioia che ha unito tradizioni senza bisogno di parole. La presenza emozionata dell’ex imperatrice Farah Diba assieme alle sorelle della sposa, Noor e Farah, ha contribuito a dare al rito un’aura dinastica, come se il passato trovasse una sua forma leggera di continuità. Non sono mancate le letture simboliche: nei commenti di monarchici iraniani e osservatori della diaspora, si è parlato di un segno di riconciliazione, di una risonanza che richiama l’antico legame tra popolo ebraico e persiano, evocando persino la figura di Ciro il Grande. L’unione tra Sherman e Pahlavi viene letta da molti come una piccola parabola moderna che suggerisce la possibilità di un dialogo più ampio.
(Foto farahpahlavi.org)