IRANIANE IN ITALIA – Marsous: Temo la repressione; Tabrizi: Il regime è agli sgoccioli

«Al regime di Khamenei e alla repubblica islamica: il fuoco nemico a casa nostra, nella nostra antica terra amata, è insopportabile! Questo fuoco lo avete portato voi, lo avete voluto voi! Lo avete invocato per trent’anni! Questa non è la nostra guerra, noi volevamo soltanto la pace con tutti, la libertà, la democrazia, il progresso e il benessere e lo abbiamo chiesto protestando pacificamente più e più volte, e voi? Ci avete risposto sparando, arrestando, picchiando, torturando, violentando e impiccando i giovani, mentre il mondo si girava dall’altra parte per non vedere».
È la presa di posizione della sezione fiorentina del movimento Donna Vita Libertà sul conflitto tra Iran e Israele. Un grido di dolore che attraversa il mondo dell’attivismo iraniano in Italia, da una parte contrapposto al regime di Teheran, dall’altro lacerato per il proprio paese in fiamme.
«Viviamo in una situazione molto complicata, in bilico. Come popolo iraniano siamo caduti in una contraddizione profonda», conferma a Pagine Ebraiche la attivista Delshad Marsous, uno dei volti più esposti del movimento. Artista e stilista, vive a Milano da una decina di anni. «Siamo molto spaventati, perché purtroppo vengono colpiti anche i quartiere residenziali, dove vive la gente normale», sottolinea Marsous. «Il regime è il nostro nemico, un nemico da rovesciare. Ma sotto le bombe non mi sembra possibile. E siamo anche in ansia per i nostri familiari. Si pretende che Teheran venga sfollata al più presto, ma conta 15 milioni di abitanti. Mio padre ha avuto un ictus, i miei genitori non riescono ad andarsene». Marsous è in rapporto costante con l’Iran: «La situazione è terrificante, i poliziotti sono dovunque, tutto è controllato per le strade. E sono già iniziate le prime vendette sommarie, le prime esecuzioni di persone accusate di collaborazionismo. Senza prove, arbitrariamente». Marsous non esclude che il conflitto possa concludersi con il crollo del regime. Ma se così non sarà «il rischio è che si torni indietro di molti anni, perché il regime si vendicherà e lo farà in modo terribile: e quel poco che abbiamo conquistato in anni di lotta per i diritti civili andrà tutto in fumo». Come rappresentare queste istanze nell’opinione pubblica? «Non è semplice», spiega Marsous. «Perché se manifesteremo, non vogliamo che ciò sia interpretato in alcun modo come un sostegno al regime, un regime di assassini. Il momento è delicato. Stiamo cercando di capire come agire senza fare passi falsi». Appare più ottimista sul crollo del regime un’altra attivista iraniana, Rayhane Tabrizi, spesso ascoltata in questi mesi da Pagine Ebraiche. In una intervista con il programma Coffee Break su La7, Tabrizi ha dichiarato che del regime «stiamo vedendo le crepe: il Mossad si è infiltrato nella struttura, Khamenei è nascosto; sono gli ultimi respiri della Repubblica islamica». Tabrizi ha “condannato” l’atto della guerra, ma ricordato anche che «è da 45 anni che la Repubblica islamica cerca di eliminare Israele: tutti i conflitti che vediamo, anche quello di Gaza, esistono perché esiste la Repubblica islamica, che aiuta e finanzia Hamas, Hezbollah, gli Houthi». Per Tabrizi, il regime degli ayatollah «è il male assoluto in tutto il Medio Oriente» e per questo «deve essere eliminato».

a.s.