TEL AVIV – Raphael Barki: Come al tempo del Covid, provati ma resistenti

Raphael Barki, 62 anni, è stato fino a qualche anno fa il presidente del Comites (Comitato per gli italiani all’estero) di Tel Aviv. Risponde dalla Città Bianca, dopo un’altra notte di allarmi e insonnia. «Dormiamo poco e male, di giorno siamo stanchi, è inevitabile», racconta Barki, mentre cerca di organizzare un’altra giornata lavorativa come se niente fosse, nell’anormalità profonda di questa temporanea “normalità”.
«È un po’ come ai tempi del Covid», sottolinea. «Si lavora da casa e pure i figli sono a casa per via delle scuole chiuse fino a nuovo ordine. L’anno scolastico finirà il 30 giugno, ma il ritorno in classe prima di allora pare improbabile. Penso con tristezza che mia figlia dodicenne sta per concludere un ciclo di istruzione come l’ha iniziato, con la didattica a distanza. Inevitabilmente tutto questo lascerà un segno nella sua vita». Barki lavora in un’azienda nel settore dell’high tech: «Lavoriamo con imprenditori che hanno servito a lungo come riservista, combattendo contro Hamas ed Hezbollah. Ieri il nostro amministratore delegato si è voluto sincerare con ciascuno dei suoi dipendenti, oltre una ventina, della loro situazione e delle loro preoccupazioni. Ha parlato con ognuno di noi, uno a uno, raccomandando massima prudenza e di andare sempre nei rifugi in caso di pericolo. C’è grande solidarietà nella società israeliana davanti a questa dura prova, che era da tempo annunciata». Il palazzo in cui Barki e la sua famiglia abitano è relativamente grande, con otto piani di scale e 75 famiglie residenti. «Ci sono due rifugi sotterranei, gremiti in questi giorni da un’umanità eterogenea: anziani con bastone, donne incinte, bambini piccoli, animali domestici. C’è anche qualche diplomatico. Mentre nelle riunioni di condominio i litigi sono all’ordine del giorno, in circostanze del genere tutto cambia. Si parla, si dialoga, si socializza. Ho conosciuto persone di cui ignoravo l’esistenza». Sono giornate dure, conclude Barki, «ma c’è grande coesione e senso di unità: sapevamo tutti che, prima o poi, uno scontro con l’Iran sarebbe stato inevitabile».

a.s.