VENEZIA – Dario Calimani, il bilancio di quattro anni di presidenza e le sfide

Domenica 29 giugno gli ebrei veneziani torneranno al voto per eleggere il nuovo Consiglio della Comunità. In lizza ci sono sette candidati, per sette posti. Poca suspense insomma. «Quando si arriva al dunque, quando si cerca di formare un nuovo Consiglio, mancano spesso le persone pronte a offrire parte del proprio tempo libero. Certo l’Italia ebraica è in crisi demografica da un bel po’, ma non è l’unica ragione. Non possiamo accontentarci di constatare la crescente disaffezione, dobbiamo agire per cambiare lo stato delle cose. E con interventi mirati possiamo riuscirci», sostiene il presidente uscente Dario Calimani, 79 anni. Lui è uno dei sette candidati.
L’energia certo non gli difetta. «Abbiamo enormi sfide davanti a noi, a partire dalla reinaugurazione del museo ebraico», dichiara Calimani. «Contiamo di farcela per novembre, massimo dicembre, con un allestimento all’altezza. Il lavoro di questi anni, sostenuto anche a livello internazionale, è stato d’altronde imponente. Nel percorso museale sono incluse tre sinagoghe e una di queste, quella ashkenazita, è stata riportata alla sua struttura originaria».
Quando pronto, il museo «sarà un prezioso tassello di conoscenza dell’ebraismo, un presidio contro l’antisemitismo». L’obiettivo «è di raddoppiare il flusso di visitatori rispetto ai numeri che siamo stati abituati ad attestare, valorizzando il rilancio dell’area del ghetto nel suo insieme». Fa parte del medesimo progetto, sottolinea Calimani, «lo sforzo per recuperare l’antico patrimonio rituale e liturgico, composto anche da decine di libri della Torah, cinque dei quali già restaurati: un patrimonio che ci deriva dalle Nazioni che si stabilirono in Laguna nei secoli passati». Per “rilanciare” il quartiere Calimani conta anche sul supporto di alcuni giovani iscritti, coinvolti in alcune attività lavorative sotto l’egida della Comunità e “avvicinati” alla stessa, ai suoi luoghi e ai suoi servizi attraverso l’offerta a prezzo calmierato di alcuni appartamenti sfitti. «Si è creato un piccolo gruppo, molto motivato. I risultati si cominciano a vedere. Anche se non basta, dobbiamo insistere e gli stessi giovani devono essere più protagonisti in autonomia. Oltre al museo stiamo lavorando affinché nessuna serranda sia abbassata, valorizzando il più possibile la trasmissione di stimoli ebraici», dice Calimani. «In questi quattro anni è stata aperta una libreria di giudaica, è stato aperto un nuovo ristorante casher e sono stati avviati i lavori affinché la nostra casa di accoglienza possa diventare un albergo, naturalmente casher anch’esso. Abbiamo inoltre favorito il cambio di gestione della galleria d’arte del ghetto. Fa tutto parte di una visione: potenziare il quartiere, legare il mattone alla vita».
Anche a livello di strategia culturale, prosegue Calimani, «abbiamo cercato di alzare il livello degli ospiti, favorendo un dibattito su temi anche di attualità; ciò ha riportato in Comunità alcuni iscritti più distanti e attirato un pubblico esterno, selezionato ma molto interessato e partecipe. Ci ha aiutato a sentirci meno soli, in un momento storico doloroso». Durante la presidenza Calimani è arrivato in Laguna anche un nuovo rav, il romano Alberto Sermoneta, dopo una lunga esperienza da rabbino capo a Bologna. «Si è subito attivato con i giovani, consapevole della loro importanza», riconosce Calimani. «Tra le iniziative più lodevoli da lui patrocinate c’è stata l’inaugurazione di un centro di studi per sofer (scribi), in continuità con la grande tradizione veneziana in questo ambito». Giovani, futuro: sono concetti spesso ricorrenti nel “flusso di coscienza” di Calimani in questo suo bilancio di un quadriennio agli sgoccioli. «Dal 7 ottobre in poi abbiamo cercato il più possibile di coinvolgere nelle nostre attività anche gli studenti israeliani presenti sul territorio. Si cerca di stare vicini, di essere davvero Comunità», spiega. Nel rapporto con l’esterno invece «mi sono imposto di rappresentare le nostre istanze in modo autorevole, sempre cercando di mediare tra le diverse esigenze e posizioni. Non sono mai intervenuto in difesa di Israele sic et simpliciter, perché non siamo l’ambasciata d’Israele ma altro. Ma ho detto molto chiaramente la mia quando l’anti-israelianismo diventava antisemitismo, perché alcune posizioni sono di fatto tali. E allora ho cercato di alimentare un dibattito, di aprire le menti di chi non capisce o finge di non capire. Il discrimine certo è molto sottile e quando ti esponi c’è il rischio di venire attaccato, da una parte e dall’altra. Ma non c’è altra strada».

a.s.