Un giovane perseguitato nella Roma nazifascista

«A tutti gli adolescenti di ieri, di oggi e di domani…».
Si apre con questa dedica La vita invisibile (ed. Gruppo Albatros), libro che racconta di un’adolescenza spezzata nell’Italia delle leggi razziste. L’autore, Mauro Di Castro, è un legale di banca in pensione e non aveva mai scritto un libro prima. In compenso ha una forte passione per la storia e per le storie di famiglia, convinto che possano lasciare un segno.
In questa sua opera prima Di Castro elabora la vicenda del padre Roberto, un ebreo romano classe 1927 che fu raggiunto dai provvedimenti antisemiti del fascismo all’età di 11 anni. Sulle sue spalle enormi responsabilità, fardelli inattesi, nella vana attesa del padre emigrato in Etiopia con il sogno di aprire un’impresa di autotrasporti. Resterà bloccato lì per anni, senza realizzarlo, vittima di un’illusione. Una madre rimasta sola, un fratellino e una sorellina di cui prendersi cura: Roberto è un bambino, ma deve diventare in fretta un adulto. Suo figlio Mauro descrive le molte prove e peripezie di quegli anni difficili e rende omaggio alla sua capacità di arrangiarsi tra mille ostacoli, attraversando indenne anche il periodo in cui dalla persecuzione dei diritti iniziata nell’autunno del 1938 si passò cinque anni dopo a quella delle vite. Fin quando, nel giugno del 1944, Roma fu liberata dal nazifascismo e la vita «tornò immediatamente a pulsare». oberto: l’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940; le bombe a San Lorenzo del ‘43; Mussolini destituito dal Gran Consiglio del fascismo; l’armistizio e l’inizio dell’occupazione nazista. E ancora, in un pathos crescente, il ricatto dell’oro perpetrato ai danni degli ebrei romani e i rastrellamenti del 16 ottobre di poco successivi. Roberto salva la pelle, fugge dai tetti, ma non si accontenta di sopravvivere. Vuole combattere con la Resistenza perché, come racconterà al figlio, «ero stufo di scappare e di nascondermi solo perché ebreo».
Quante sfide però prima di allora. Ma per fortuna, scrive il figlio, «papà era un ragazzo molto sveglio e sensibile, attentissimo a quanto gli accadeva intorno, che cercava di capire e di interpretare». Istinti decisivi che «lo hanno aiutato nella sua lotta per la sopravvivenza».
E se fino al 1938 la vita scorreva dentro certi binari, quell’autunno tutto cambiò per sempre. Il giovane Roberto, espulso dalla scuola pubblica, capì per la prima volta il significato della parola indifferenza: «Lasciai la scuola barcollando, la testa mi girava, non riuscivo a trovare una spiegazione logica a quello che era successo: perché il preside mi aveva detto di tornare a casa? Perché lo aveva detto solo a me?». Il primo di tanti “perché” senza risposte razionali possibili.
Ecco poi scorrere la grande Storia, vista dagli occhi di Roberto: l’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1940; le bombe a San Lorenzo del ‘43; Mussolini destituito dal Gran Consiglio del fascismo; l’armistizio e l’inizio dell’occupazione nazista. E ancora, in un pathos crescente, il ricatto dell’oro perpetrato ai danni degli ebrei romani e i rastrellamenti del 16 ottobre di poco successivi. Roberto salva la pelle, fugge sui tetti, ma non si accontenta di sopravvivere. Vuole combattere con la Resistenza perché, come racconterà al figlio, «ero stufo di scappare e di nascondermi solo perché ebreo».
Arriverà presto la Liberazione, ma non la spensieratezza. Quella, indietro, Roberto non l’avrà più.