ISRAELE – “Dal disastro alla rinascita”, un incontro di Anavim per Nir Oz

“Binah BaLev” – saggezza nel cuore – è il nome costruttivo, non retorico scelto per un progetto di rinascita teso a ridare un presente e un futuro al Kibbutz di Nir Oz, uno dei più colpiti, il 7 ottobre 2023, dalla furia omicida di Hamas. Di Nir Oz, del suo sviluppo dopo la fondazione nel 1959, della sua tragica vicenda in quel sabato nero e delle prospettive per una sua nuova vita si è parlato ieri sera durante un partecipato incontro online promosso dall’ UCEI e organizzato dall’ Associazione Culturale Ebraica Anavim di Torino. Tre gli ospiti dell’ iniziativa, presentati e accoratamente coinvolti al dialogo dalla presidente dell’Unione, Noemi Di Segni: Eli Shtivi, il cui figlio Idan è ancora prigioniero dei terroristi a Gaza; Yzhar Lifschitz, figlio di Oded morto a 83 anni in prigionia, e di Yoheved rapita a 86 anni e rilasciata dopo due settimane; Yossi Vardi, uno dei promotori del progetto Binah BaLev.
Al centro dei due primi interventi il racconto ancora oggi angosciato di quella sconvolgente giornata: l’ orrore e la barbarie delle inimmaginabili violenze e degli omicidi generalizzati di adulti e bambini; e anche, in Yzhar Lifshitz, l’ incredulità e l’ amara impotenza – in quelle ore disperate – davanti alla prolungata inspiegabile assenza di Tsahal, il cui celere soccorso appariva ed era sempre apparso come una incrollabile certezza; ma anche, in Eli Shtivi (e nonostante l’ansia presente per il figlio tuttora nei tunnel di Gaza), la forza di resistere, l’ orgoglio anzi per la resilienza con cui il popolo israeliano sta superando i giorni forse più difficili della sua esistenza. A fare da sottofondo comune alle parole di Eli e Yzhar, la convinzione, morale e razionale insieme, che solo quando si giungerà alla restituzione dei rapiti rimasti in vita potrà finalmente sciogliersi il nodo della tragedia che avviluppa Israele da quel maledetto 7 ottobre; solo allora si potrà tornare con fatica a un’esistenza normale.
Ma sulla base del dolore da quel giorno continuamente rivissuto occorre fin d’ ora procedere e guardare avanti. Yossi Vardi, che fa parte del gruppo di progetto intenzionato a disegnare il domani di un kibbutz che non vuole e non può morire, ha molte frecce nel suo arco: innanzitutto l’intenzione di coinvolgere i giovani attraverso una formazione prevalentemente legata alle potenzialità dell’intelligenza artificiale e dello sviluppo economico; secondariamente il modo innovativo col quale guarda all’I.A., intesa non come una sterile e piatta traduzione esecutiva di semplici istruzioni ma come sviluppo costruttivo nato dalla fusione di creatività giovanile e avanguardia tecnologica; inoltre la capacità di inserire la mappa di ricostruzione/ripopolamento/rivitalizzazione del kibbutz in un tessuto storico complessivo della realtà ebraica ed israeliana del quale soprattutto i giovani devono acquisire consapevolezza. La formazione giovanile in vista di un futuro nutrito di apertura, nuove prospettive e superamento delle vecchie conflittualità appare la via da percorrere; e non solo a Nir Oz ma in tutto il Paese, se si vuole andare oltre la crisi degli ultimi due anni. Questa è la strada che Vardi traccia essenzialmente per Israele; ma una formazione diversa e più aperta delle giovani generazioni è forse, secondo Lifshitz, il percorso di maturazione migliore anche per il chiuso mondo palestinese.
Dal cuore di una tragedia nella quale siamo ancora immersi, nel pieno di un nuovo forse inevitabile conflitto, impreviste speranze nascono per un kibbutz semi-distrutto, e forse per l’intero Israele.

David Sorani