ISRAELE – Daniela Fubini: L’incendio spento a metà

La notte fra giovedì 12 e venerdì 13 giugno, a posteriori, non è stata affatto la più lunga. Ne abbiamo avute di ben più lunghe, fino a ieri, con più pre-allarmi, più allarmi effettivi, più notizie di intercettazioni che non sono funzionate, morti, feriti, palazzi o interi quartieri devastati. Anzi, tutto sommato, tolto il passaggio improvviso dai nostri letti al letto degli ospiti nel mamad, la stanza di cemento armato, da noi almeno, è filata abbastanza liscia.
Ma la notte fra il 12 e il 13 avrebbe dovuto essere la notte prima della festa di fine anno all’asilo di mio figlio. Settimane di preparativi, canzoni mandate a memoria, balli coreografati da amorevoli e pazientissime maestre, addobbi colorati e appesi ai muri e alle finestre dell’asilo.
È stato surreale passare in poche ore da quella attesa piacevole a due settimane di tensione pesante, notizie terribili e la fatica enorme per tutti di avere bambini e ragazzi in casa, sani e pieni di energia, mentre noi genitori a malapena riuscivamo a gestire l’immediato: cibo e pulizia, lavoro da casa per chi poteva, e per il resto un’infinita lista di libri da leggere ad alta voce, giochi da fare e da inventare, qualche uscita in giardino per chi è fortunato abbastanza da averne uno. Come durante i lockdown più duri del covid, ma con l’aggiunta dei risvegli notturni con gli allarmi, e del pericolo presente e reale che in ogni momento un missile balistico superasse gli intercettatori e si venisse a sfracellare sulle nostre teste.
Suppongo che abbia senso quindi, anche per celebrare lo scampato pericolo, che l’asilo abbia tenuto subito, stamattina presto, senza aspettare neanche un giorno, la festa che era restata lì, sospesa, come i festoni già appesi, le seggioline tutte ricoperte di bianco, i certificati di fine anno messi in pila ordinata, uno per ciascun bambino. Ed è stata una festa bellissima. Solo che il pericolo scampato è quello specifico che arrivava dall’Iran, mentre la guerra che è iniziata il 7 ottobre non è affatto finita. Quindi oggi, la realtà dei fatti è che dovremmo sentirci come un pompiere che è stato chiamato a spegnere un fuoco gigantesco, ed è riuscito eroicamente ad estinguerne una parte che poteva far crollare tutto il palazzo, ma gli resta ancora parecchio lavoro, anche perché ci sono 50 cittadini israeliani imprigionati dietro alle fiamme ancora alte, e devono essere liberati subito, subitissimo.
Daniela Fubini
moshav Kokhav Michael
(Foto di repertorio)