ISRAELE – Trump chiede la grazia per Netanyahu, i giuristi frenano

Il processo a carico di Benjamin Netanyahu deve essere «annullato immediatamente» e al primo ministro israeliano dovrebbe essere concessa «la grazia» perché «è un grande eroe che ha fatto tanto per lo stato». Nel suo stile teatrale e fuori dalle righe, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è intervenuto in queste ore a difesa dell’alleato Netanyahu, chiedendo la chiusura del procedimento penale in corso a Gerusalemme e definendolo «una ridicola caccia alle streghe». Un intervento senza precedenti, sottolineano i media locali, che ha generato un acceso dibattito interno tra sostenitori e contrari.
Le reazioni politiche
Netanyahu ha risposto a Trump con un ringraziamento via social «per il suo commovente sostegno nei miei confronti e per il suo enorme appoggio a Israele e al popolo ebraico». Ma la politica israeliana si è divisa, con voci critiche anche nella maggioranza. «Non è compito del presidente degli Stati Uniti interferire nei procedimenti giudiziari dello Stato di Israele», ha dichiarato Simcha Rothman, presidente della Commissione Giustizia della Knesset. Pur chiedendo la grazia per Netanyahu e criticando la gestione del processo, Rothman ha difeso l’indipendenza del sistema legale. Più diretto il leader dell’opposizione Yair Lapid, che in un’intervista a Ynet ha definito l’intervento di Trump una «compensazione politica» per spingere Netanyahu a chiudere la guerra a Gaza. «Il presidente degli Stati Uniti non dovrebbe interferire in un processo legale in un paese indipendente», ha aggiunto. Altri esponenti della maggioranza, invece, hanno accolto con favore le parole di Trump. Gideon Sa’ar ha ricordato di aver già chiesto in passato un patteggiamento e ha affermato che, di fronte al rifiuto dell’accusa di trovare una soluzione, «non c’è da stupirsi che si levino richieste di clemenza». E ha aggiunto: «Quando il presidente degli Stati Uniti chiede l’annullamento del processo o la grazia, chi può dire che ha torto?».
Lo strumento della grazia
La grazia presidenziale è prevista dalle leggi fondamentali d’Israele ed è tra le prerogative del capo dello Stato. Può essere concessa anche prima della condanna definitiva, ma solo in circostanze eccezionali. «Lo ha stabilito la Corte Suprema in un numero limitatissimo di casi, il più noto dei quali risale a oltre quarant’anni fa», spiega a Pagine Ebraiche il giurista israeliano Michael Sierra.
«Se guardiamo alla prassi costituzionale, il presidente può intervenire anche prima della sentenza, ma non lo fa quasi mai. Ci sono pochissimi precedenti», sottolinea. «Una grazia anticipata, concessa nel mezzo di un processo e per motivi percepiti come politici, rischierebbe di compromettere l’equilibrio tra i poteri».
Sierra osserva che nel caso Netanyahu «non si ravvisano le condizioni eccezionali richieste. Se davvero si fosse trattato di una questione di sicurezza nazionale, i procedimenti sarebbero stati sospesi con l’inizio della guerra». E invece, prosegue il giurista, sono andati avanti, a dimostrazione del fatto che lo stato può reggere entrambi i fronti: quello giudiziario e quello militare.
Sulla stessa linea è Adam Shinar, costituzionalista della Reichman University. «L’annullamento di un processo – cioè il ritiro dell’atto d’accusa – è una misura estremamente rara, e al momento non esistono ragioni giuridiche per giustificarla», dichiara Shinar in un’intervista al sito economico Globes. Il giurista mette in guardia dalle conseguenze istituzionali di una decisione legata alle pressioni provenienti da Washington: «È evidente che, dopo un tweet del genere, non si può annullare un processo senza che venga visto come un cedimento all’influenza americana. A mio parere, non c’è alcuna possibilità che l’accusa accetti una soluzione di questo tipo, né per motivi di sostanza né per l’immagine che ne deriverebbe».
Il precedente
Quanto alla grazia, sia Shinar sia Sierra ricordano come l’unico precedente in cui fu concessa prima dell’avvio di un processo risale al 1986, con l’affare Kav 300. In quell’occasione, il presidente Yitzhak Navon graziò tre alti funzionari dello Shin Bet coinvolti nell’uccisione di due terroristi palestinesi catturati vivi dopo aver dirottato un autobus di linea israeliano. La Corte Suprema approvò la grazia, ma la definì un’eccezione assoluta, giustificata da un contesto delicatissimo: una crisi istituzionale interna, implicazioni dirette per la sicurezza nazionale e il rischio di uno scontro tra i vertici dello Stato. «Da allora nessuno ha più tentato una mossa simile. E le condizioni attuali sono molto lontane da quelle di allora», osserva Shinar. Per il penalista Mordechai Kremnitzer, sentito da ynet, «una grazia concessa in pieno processo darebbe un messaggio devastante: che chi è al potere può sottrarsi al giudizio».
Una soluzione
Sul futuro processuale di Netanyahu, l’ex giudice Zvi Segal, sul sito Walla, propone una via d’uscita diversa: valutare un patteggiamento. «Non sarebbe una resa ma un gesto di responsabilità istituzionale e di tutela dell’interesse pubblico, per evitare che il procedimento si trascini per anni», scrive Segal, già vicepresidente del tribunale distrettuale di Gerusalemme.
Per Sierra, «Trump ha espresso pubblicamente il suo sostegno e ha chiesto l’annullamento del processo a Netanyahu, ma Israele deve agire secondo il proprio interesse, non in base alle richieste di un leader straniero, per quanto alleato».
Daniel Reichel
(Foto Ufficio del primo ministro israeliano)