OSTAGGI – Lior Rudaeff, nonno appassionato di ciclismo e musica rock

Lior Rudaeff, 61 anni, era conosciuto affettuosamente come “Nonno Lior’chick” dai suoi nipoti. Nato in Argentina, era arrivato in Israele nel 1969, all’età di sette anni, con la sua famiglia. Cresciuto nel kibbutz Nir Yitzhak, al confine con Gaza, ne era diventato un punto di riferimento: meccanico esperto, volontario di lungo corso, appassionato di ciclismo e di musica rock – Smoke on the Water dei Deep Purple era uno dei suoi brani preferiti.
Sposato con Yaffa da 38 anni, padre di quattro figli e nonno di tre nipoti, Lior era «un uomo votato alla comunità», ricordano gli amici del kibbutz. Per quasi quarant’anni ha servito come autista volontario di ambulanze per il Magen David Adom nella regione di Eshkol, sempre pronto a intervenire in situazioni d’emergenza. Organizzava feste per Yom HaAtzmaut, il giorno dell’Indipendenza, e amava insegnare ai ragazzi come guidare i trattori.
Il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha attaccato le comunità del confine, Lior era pronto a partire in moto per un’escursione con gli amici. Aveva appena preparato il caffè per sé e per Yaffa, ma ha lasciato tutto per rispondere alla chiamata della squadra di pronto intervento del kibbutz. Insieme al collega Tal Chaimi, è corso a chiudere i cancelli e a respingere l’assalto dei terroristi palestinesi.
In quelle ore, la famiglia era concentrata sul figlio più giovane, Ben, che partecipava al festival musicale di Re’im. Dopo aver saputo, nelle prime ore del mattino, che Ben era in salvo, nessuno ha scritto a Lior: «Fin da piccoli sapevamo che non dovevamo disturbare papà nei momenti di emergenza», ha raccontato il figlio Nadav. Solo alle 11 del mattino gli ha inviato un messaggio. Non è mai stato letto.
La moglie Yaffa aveva ricevuto una comunicazione: Lior era ferito ma vivo. È rimasta per 14 ore chiusa nel rifugio della casa. Quando è uscita, Lior non c’era più. Solo una settimana dopo, un segnale dal cellulare del marito è stato rilevato a Khan Yunis, nel cuore della Striscia di Gaza. Era stato rapito, ma non si sapeva se fosse vivo.
Ci sono voluti sette mesi per conoscere la verità. L’8 maggio 2024 l’esercito ha informato la famiglia che Lior era stato ucciso il 7 ottobre mentre difendeva il kibbutz. Il suo corpo è stato portato a Gaza, dove si trova da 630 giorni. «Lior e il suo amico Chaimi sono stati eroici. Il loro intervento ha salvato decine di persone», ha raccontato la moglie ad Haaretz. Con la conferma della morte, la famiglia ha celebrato la Shiva, i sette giorni di lutto della tradizione ebraica. «Ma non abbiamo una tomba dove piangerlo. Siamo imprigionati in un lutto sospeso», ha spiegato a ynet la figlia Noam Katz. «Mi offro volontaria per essere l’ultima famiglia a ricevere il proprio caro. Ma deve tornare. Solo allora potremo iniziare a piangerlo davvero».
Nadav, presenza costante nella piazza degli ostaggi di Tel Aviv per chiedere la liberazione dei 50 rapiti ancora a Gaza, non ha mai nascosto la sua frustrazione. «Sono un cittadino di questo paese. Ho prestato servizio militare. Pago le tasse. Faccio la mia parte. Ma il contratto fondamentale tra i cittadini, il governo e l’esercito non si è semplicemente rotto il 7 ottobre: è andato in frantumi». Per lui l’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu deve siglare un accordo con Hamas e riportare tutti gli ostaggi a casa. Da mesi Yaffa lavora come insegnante d’arte part-time. Al Times Of Israel ha spiegato che questa è «una delle poche cose che le dà la forza di alzarsi la mattina» mentre aspetta di dare degna sepoltura al marito. Ma dopo il conflitto con l’Iran, teme che il destino dei rapiti sia segnato: «Ci sentiamo abbandonati. Abbiamo la sensazione che gli ostaggi siano stati dimenticati. Lior ha combattuto per questo paese, non merita di rimanere sepolto da qualche parte a Gaza».
d.r.