USA – Mamdani porterà il Bds nella Grande Mela? Trump: «È un pazzo»

Zohran Mamdani ha vinto le primarie democratiche per la candidatura a sindaco di New York. Trentatré anni, nato a Kampala, in Uganda, figlio del politologo Mahmood Mamdani e della regista Mira Nair, è cresciuto nella Grande Mela, dove ha costruito una carriera politica iniziata nel solco del senatore Bernie Sanders. La sua affermazione ha avuto un’eco nazionale non solo per l’impatto sul futuro della città, ma per le posizioni che l’hanno accompagnata, in particolare su Israele. Mamdani, già deputato all’Assemblea dello Stato di New York, è da tempo esponente dell’ala più radicale del Partito Democratico. Durante la campagna elettorale ha sostenuto che Israele praticherebbe politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi e si è riferito alla guerra a Gaza come a un «genocidio». In un’intervista ha dichiarato che, se fosse sindaco, «arresterebbe (il primo ministro israeliano) Netanyahu», proponendo di «allineare le azioni della città ai valori di New York, fondati sul rispetto del diritto internazionale». Dichiarazioni che hanno suscitato allarme, la città che ospita la più grande comunità ebraica fuori da Israele. Particolarmente dibattuta è la sua adesione al movimento BDS, che Mamdani sostiene apertamente. Mamdani lo ha definito «in linea con il nucleo della mia politica, che è la non violenza». In una recente intervista ha anche difeso l’espressione «globalizzare l’intifada», affermando che si tratta, a suo avviso, di uno slogan simbolico per sostenere i diritti umani dei palestinesi e non un’esortazione alla violenza. Parole che non hanno convinto tutti. Sacha Roytman, ceo del Combat Antisemitism Movement, ha definito «preoccupante» il passato del candidato, affermando che certe posizioni «dovrebbero essere squalificanti per chi ambisce a guidare una città con una comunità ebraica tanto estesa e sensibile». Non si tratta di dichiarazioni isolate: la Jewish Telegraphic Agency ha descritto la vittoria di Mamdani come un segnale forte per il movimento di boicottaggio contro Israele. Eppure, accanto alle voci critiche, che vedono in Mamdani una minaccia alla coesistenza civile e una normalizzazione di retoriche percepite come ostili, alcuni esponenti del Partito Democratico – fra cui figure influenti come il senatore Chuck Schumer e il deputato Jerry Nadler – hanno ribadito la necessità di ascoltare la domanda di giustizia sociale proveniente da una nuova generazione di attivisti e cittadini. Per Mamdani, il sostegno arriva anche da chi vede nelle sue idee – congelamento degli affitti, trasporto pubblico gratuito, riforma del sistema carcerario – un’alternativa alla gestione della crisi urbana. La sua campagna è stata costruita con un’efficace strategia digitale incentrata su TikTok, Twitch e altri canali frequentati soprattutto dai giovani. Ha saputo intercettare la diffusa insoddisfazione verso le élite democratiche tradizionali facendo breccia in quartieri popolari dove la retorica sulla redistribuzione e sulla giustizia economica risuona con forza. Il suo avversario alle primarie, Andrew Cuomo, ha puntato invece su un messaggio di stabilità e competenza amministrativa e tra gli elettori più giovani la proposta di Mamdani ha vinto per capacità di immaginare un’alternativa chiara, seppur divisiva. A novembre Mamdani dovrà vedersela con il sindaco uscente e con il repubblicano Curtis Sliwa. Ma la vera prova sarà dimostrare di poter rappresentare anche chi guarda con preoccupazione alle sue posizioni. Giovedì scorso il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha lanciato un attacco personale contro il candidato democratico. «Alla fine è successo», ha scritto Trump su Truth, «I democratici hanno superato il limite: Zohran Mamdani, un pazzo comunista al 100%, ha appena vinto le primarie democratiche ed è sulla buona strada per diventare sindaco. Gli Stati Uniti sono fottuti».