MEDIO ORIENTE – Israele-Siria, intesa possibile ma senza pace

Non sarà pace, e nemmeno normalizzazione, ma qualcosa si muove tra Gerusalemme e Damasco con l’intensificarsi del dialogo, attraverso canali riservati, tra i due storici nemici. Sul tavolo non c’è un trattato né tantomeno l’apertura di ambasciate. «Chi immagina di mangiare hummus a Damasco, continui a sognare», sintetizza con una battuta il giornalista israeliano Itamar Eichner, su ynet. L’obiettivo delle due diplomazie è circoscritto a un’intesa sulla sicurezza. Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha confermato l’interesse ad «ampliare la cerchia della pace» includendo Siria e Libano, ma ha ribadito che «le alture del Golan resteranno parte integrante dello stato di Israele».
Secondo fonti israeliane, con il presidente siriano Ahmed al-Sharaa (alias al-Jolani) si discute un accordo limitato: garanzie sul confine nord, allontanamento dell’Iran e contenimento di gruppi terroristici. Damasco punta alla revoca delle sanzioni e ad attrarre investimenti, ma non c’è unità all’interno del regime, con voci critiche per le aperture a Gerusalemme. La guerra a Gaza e la condanna araba rendono la normalizzazione impopolare.
Nel frattempo, poco si muove in merito al negoziato per la liberazione degli ultimi 50 ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Gli Stati Uniti spingono per un cessate il fuoco che apra la strada a una più ampia intesa regionale, scrivono i media americani. Hamas insiste su una tregua definitiva e nuovi meccanismi per gli aiuti, mentre Israele vorrebbe una pausa temporanea e il mantenimento dell’attuale gestione umanitaria tramite la Gaza Humanitarian Foundation.
Il ministro Ron Dermer sarà domani a Washington per consultazioni con l’amministrazione del presidente Usa Donald Trump. L’incontro punta a riallineare le strategie prima di un possibile round negoziale al Cairo. Intanto, un gruppo di madri e parenti degli ostaggi ha pubblicato un appello a Trump: «Siete l’uomo del momento, siete l’uomo del minuto», afferma Lee Siegel. «La vostra leadership ha dimostrato che potete riportarli a casa», conferma Dalia Cusnir.
All’interno del governo israeliano emergono visioni opposte. Dal Likud c’è chi parla di una possibile fine dei combattimenti, mentre dall’estrema destra ogni intesa viene definita impossibile. In particolare per il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich: «Questa guerra deve finire solo con la vittoria. Nessun accordo, nessun partner, nessun mediatore: solo un colpo decisivo, la distruzione di Hamas e il ritorno degli ostaggi da una posizione di potere».
Dalle opposizioni arriva il possibile sostegno a un accordo su Gaza per liberare i rapiti. «Anche se il prezzo da pagare è un lungo cessate il fuoco, il nostro interesse è riportare a casa tutti gli ostaggi il più rapidamente possibile», ha dichiarato Benny Gantz, proponendo un sostegno esterno al governo affinché arrivi a una tregua con Hamas.
A rendere ancora più teso il clima interno, sono stati gli attacchi di estremisti israeliani contro strutture dell’esercito israeliano in Cisgiordania. Nella notte è stata incendiata un’installazione militare; atto condannato duramente dal primo ministro Benjamin Netanyahu: «Nessun paese civile può tollerare atti violenti e anarchici come l’incendio di una base o le aggressioni al personale di sicurezza». Sa’ar ha definito i fatti «inaccettabili», mentre il ministro della Difesa Israel Katz ha convocato una riunione d’urgenza, chiedendo la mano dura contro i responsabili dell’attacco.


(Nell’immagine, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar – Foto Shlomi Amsalem)