OSTAGGI – Idan Shtivi e l’impegno per l’ambiente

L’appartamento di Ein HaYam, quartiere di Haifa con l’affaccio sul mare, era pronto per accogliere Idan Shtivi e la compagna Stav Levi. Il 9 ottobre 2023 i due avrebbero dovuto firmare insieme il contratto di affitto ed entrare nella loro nuova casa. «Dopo anni vissuti in appartamenti separati a Tel Aviv, eravamo entusiasti di trasferirci insieme, di sistemarci e di affrontare il nuovo anno con l’energia dei nuovi inizi», ha raccontato Levi. La scelta di avere il mare vicino era voluta: per Idan era una componente importante del suo quotidiano, così come l’impegno per l’ambiente.
Studente di sostenibilità energetica alla Reichman University, aveva abbandonato la facoltà di giurisprudenza per dedicarsi a qualcosa che considerava più significativo. «Voleva lasciare un segno», ha ricordato il fratello maggiore Omri. «Credeva nella responsabilità verso il pianeta, raccoglieva plastica nelle passeggiate in natura, si occupava degli altri, sempre con gentilezza e senza ostentazione». Era uno spirito indipendente, ma allo stesso tempo un «cocco di mamma», ha sottolineato la madre Dalit ad Haaretz. «Iniziava la giornata chiamandomi e la concludeva chiamandomi. Aveva un cuore puro e generoso, era un ragazzo che amava la vita, la natura e la famiglia».
Tra le tante passioni di Idan, 28 anni, c’era la fotografia. La mattina del 7 ottobre era andato al festival musicale Nova, a Re’im, per immortalare una sessione di yoga di un amico. «Era appena arrivato al festival quando l’ho chiamato alle 6:48 del mattino e mi ha detto che erano iniziati i razzi. Questione di minuti e sarebbero iniziati anche gli spari», ha raccontato Levi al Jerusalem Post. Mentre l’area veniva assaltata dai terroristi palestinesi, Idan aveva trovato una via di fuga con una coppia di amici. «Abbiamo incontrato un ragazzo che non poteva guidare, così Idan si è offerto di farlo al posto suo», racconta l’amica Sapir Cohen Baram. Mentre lei e il compagno si sono diretti verso est, l’auto guidata da Idan ha imboccato una strada verso sud, cadendo vittima di un’imboscata dei terroristi. Le autorità israeliane hanno trovato il veicolo con dentro la salma di Alon Verber, 26 anni; di Idan nessuna traccia.
Per un anno intero la famiglia ha sperato di poterlo riabbracciare vivo. «Mio Idan, sei la persona più forte che conosca. So che hai paura e forse ti senti incapace di andare avanti. Ma voglio dirti che hai la forza di guardare nell’oscurità più profonda e uscirne più forte», aveva scritto Levi in una lettera aperta pubblicata da ynet nel febbraio 2024. «Ogni minuto che abbiamo passato insieme mi hai fatto sentire a casa. Voglio che tu sappia che io sono casa tua e lo sarò sempre, anche quando tornerai. Qualunque cosa accada, io sarò qui con te, mano nella mano, con tutto ciò che porterai con te e tutto ciò di cui avrai bisogno».
Mesi dopo, il 6 ottobre 2024, l’esercito ha comunicato ufficialmente alla famiglia il destino di Idan: era stato ucciso il giorno dell’attacco e il suo corpo era stato rapito e portato a Gaza, dove si trova da 634 giorni. «Il mondo ci è crollato addosso. Abbiamo sperato fino all’ultimo», ha sottolineato la madre. Parenti e amici si sono mobilitati per chiedere al governo un accordo che riporti tutti gli ostaggi a casa, sia vivi che i deceduti. «Ci sentiamo come qualcuno a cui è stato amputato un arto e soffre di dolore fantasma: bisogna mostrargli che l’arto non c’è più perché il dolore smetta. Abbiamo bisogno di questa certezza, non si può andare avanti così», ha spiegato l’amica Cohen Baram.
Nelle interviste, il padre di Idan, Eli, ribadisce determinazione. «Finché non saranno tornati tutti i rapiti, Israele non può restare in silenzio. Anche io non ho fatto abbastanza per riportarli a casa». Diventato una delle voci della campagna per la liberazione degli ostaggi, Eli ad Haaretz non ha nascosto la sua rabbia. «Se fossi il padre di un ragazzo che oggi deve arruolarsi, farei di tutto per trasferirmi in un altro paese, così non dovrebbe farlo», ha dichiarato il padre di Idan. «Gli ostaggi non sono stati restituiti da quasi due anni. Cosa dovrebbe dire un genitore a suo figlio? Se vieni rapito e sei un soldato, le tue possibilità di tornare sono minime. È difficile per me dirlo, perché sono un idealista, un sionista, e l’amore per questo paese e questa terra fa parte di me». D’altra parte, ha aggiunto, il figlio Idan non avrebbe mai accettato di trasferirsi in un altro paese per non arruolarsi.
In attesa di riavere la salma del compagno, Levi ha lanciato un appello: «Vorrei che chiunque si imbatta nella storia di Idan trovi ispirazione per essere “un po’ come lui”: provare ogni giorno a fare qualcosa di buono, anche un piccolo gesto come chiamare un amico per sapere come sta, raccogliere rifiuti in natura, offrire un pasto a chi ne ha bisogno. Così, potrei sentire che c’è ancora un po’ di Idan in Israele».

d.r.