ROMA – L’evento del Riformista: Noi, dalla parte di Israele

A inizio giugno Il Riformista ha lanciato un appello a difesa delle ragioni di Israele, raccogliendo migliaia di adesioni. Partendo dall’appello, il quotidiano diretto da Claudio Velardi ha organizzato lunedì sera a Roma un evento “Dalla parte di Israele” in un teatro cittadino. Sul palco sono saliti rappresentanti politici e delle istituzioni ebraiche, giornalisti, comunicatori, studenti universitari.
«Israele è vittima di una asimmetria informativa. Credo molto in questa battaglia a sua difesa, una battaglia che mi sta facendo ridiventare giovane dopo tanti anni di cinismo», ha esordito Velardi. In quattro panel sono stati affrontati tra gli altri temi come “Giovani”, “Media, emergenza antisemitismo”, “I nuovi nemici della libertà delle donne” e “Prospettive”, con uno sguardo anche al futuro. «Dalla parte di Israele è un titolo stupendo e coraggioso, soprattutto in un momento in cui viene promosso un odio ideologico verso Israele e il suo popolo», ha dichiarato l’ambasciatore israeliano a Roma, Jonathan Peled. «Un odio che rischia di avere profonde conseguenze sociali nei prossimi anni».
Era tra gli altri presente in sala la presidente Ucei, Noemi Di Segni. Mentre sul palco è salito Victor Fadlun, il presidente della Comunità ebraica di Roma. Israele, ha detto Fadlun, «è l’avamposto della società occidentale che parte mondo arabo vuole annientare: questo è il dramma che una parte della nostra società non capisce». Per Stefano Parisi, il presidente dell’associazione Setteottobre, «l’Europa è oggi invasa dalla Fratellanza Musulmana e alcuni paesi che finanziano il terrorismo si stanno comprando le nostre università, le nostre città, le nostre grandi piattaforme culturali come lo sport». Al riguardo, si è chiesto Parisi, «cosa fa la leadership europea?». Secondo la giornalista Fiamma Nirenstein, una delle promotrici dell’iniziativa, «Israele non può essere distrutta perché vive in noi il dettame del Deuterenomio che ci impone di scegliere sempre la vita». È un dettame, ha concluso Nirenstein, «che condividiamo nella cultura giudaico-cristiana».

a.s.