ANTISEMITISMO – Sabbadini (Keshet Italia): Aggrediti al Pride di Napoli perché ebrei

Nel 2024, il gruppo ebraico lgbtqai+ Keshet Italia aveva deciso di non partecipare ai Pride nazionali perché «l’atmosfera per noi all’interno del movimento era diventata invivibile» e perché c’era il rischio di aggressioni fisiche a propri esponenti da parte di una frangia del movimento ostile alla presenza nel corteo di una bandiera arcobaleno con la Stella di Davide. Nel 2025 Keshet Italia è tornato in alcune piazze, da Roma a Napoli. Raffaele Sabbadini, il presidente del gruppo, ha la voce segnata da quello che è successo al Pride napoletano nel fine settimana. Dopo una manifestazione che definisce «meravigliosa e con tanti attestati positivi», è salito sul palco per portare una testimonianza, la testimonianza di un mondo, quello ebraico lgbtqai+, che si sente messo in un angolo dopo dieci anni di impegno attivo «per l’inclusione, la visibilità e la sicurezza». È paradossale, ha affermato Sabbadini, che dopo una così lunga militanza «contro tutti i pregiudizi, oggi, all’improvviso molte organizzazioni o ci attaccano pesantemente o sembrano interessate solo alla nostra posizione sul conflitto Israele-palestinese». Quella di Keshet è una posizione «per la pace», ha sottolineato, «ma non è neanche questo il punto, perché pur sfilando a Roma con queste nostre bandiere “rainbow” con il Magen David e con la bandiera della pace, per tutta risposta ci hanno chiamato assassine e terroriste». A Napoli è successo di nuovo. Sabbadini è salito sul palco ma non ha avuto nemmeno il tempo di aprire bocca. «Da un gruppo numeroso di propal vicino al palco è partita una contestazione veemente: assassini, terroristi, fuori dal Pride. Lo si può vedere anche nei video del mio intervento», racconta il presidente di Keshet Italia. «Sono stati quattro minuti di grande violenza verbale da parte di queste persone, che prescindevano da quanto stessi dicendo. Al Pride, tutti dovrebbero avere il diritto di parlare, a condizione che non siano violenti. E invece si sta verificando il contrario: i violenti si stanno imponendo e sottraendo spazi vitali di espressione. È contro questo che ci stiamo battendo a testa alta per la libertà di noi ebrei lgbtqai+ e di tutti gli altri di poter comunicare». Sabbadini, che ha relazionato sull’accaduto all’ultimo Consiglio Ucei, aveva iniziato il suo discorso soffermandosi sulla «fase critica globale» per la tutela dei diritti delle persone queer, dall’Ungheria di Viktor Orban agli Stati Uniti di Donald Trump. Un tema di interesse comune «ma evidentemente a quelle persone non interessava semplicemente lasciarmi parlare: siamo stati attaccati per la nostra identità, in quanto ebrei lgbtqai+; dire “assassini” a noi è dirlo a degli ebrei, non mi pare però che abbiamo ucciso nessuno». Sabbadini lo definisce «un episodio di antisemitismo molto grave: a Napoli abbiamo subito la “fisicizzazione” della deriva di tale violenza ideologica». Ora, annuncia, assieme a tutto il movimento «lavoreremo perché non prenda il sopravvento». Nonostante tante manifestazioni di vicinanza, resta l’amaro in bocca. Ma è ancor più grande di prima «la voglia di lottare», assicura il presidente di Keshet Italia. «Non dobbiamo concedere spazio alla violenza fisica e verbale, non solo nei confronti di noi ebrei ma di tutti; noi non smetteremo di metterci la faccia e di denunciarla».

a.s.